da Milano
Le Borse europee superano lesame cinese: nonostante lo scivolone di Shanghai, che ieri mattina ha bruciato il 6,8%, Francoforte (-0,21%) e Parigi (-0,24%) hanno chiuso poco sotto la parità; Londra e Milano sono rimaste in pratica invariate mentre Wall Street ha finito la giornata con gli indici positivi.
Annunciata e prevista, la marcia indietro della Borsa cinese è scattata durante la notte di ieri, dopo che il governo di Pechino ha deciso di triplicare le tasse sugli scambi azionari, allo scopo di raffreddare il boom della Borsa locale, raddoppiata di valore dallinizio dellanno. I mercati temevano la replica di quello che è accaduto il 27 febbraio quando il calo del 9% della Borsa cinese ha causato lo scivolone delle altre piazze mondiali. Wall Street e le Borse europee si muovono da qualche mese sui massimi degli ultimi anni e secondo gli osservatori sembrano solo attendere una scusa per «correggere» landamento delle quotazioni.
«Stavolta leffetto domino non cè stato», spiega Arthur Kroeber, della GaveKal, una delle banche daffari con sede ad Hong Kong, specializzata nel mercato cinese. «Il motivo è semplice», spiega Kroeber. «Nello scorso mese di febbraio, nella fase di calo della Borsa il governo cinese intervenne acquistando azioni e rassicurando i mercati. Memori di quella scelta gli investitori europei sapevano che Pechino sarebbe intervenuto in caso di perdite significative».
Anche senza correre troppo indietro con la memoria, già la scorsa settimana i mercati europei avevano dato prova della loro forza. Mercoledì Alan Greenspan, lex numero uno della Fed, che ora sembra volersi guadagnare la fama di profeta di sventura, aveva previsto una «drammatica correzione» della Borsa di Shangai. Le sue parole sono costate un calo del 6,5% dellindice del mercato cinese aperto agli investitori stranieri. Anche allora, però, i mercati europei hanno perso solo qualche frazione di punto.
Cè da valutare poi un altro elemento: «Anche un crollo della Borsa di Shanghai avrebbe effetti davvero limitati sulleconomia del Paese», commenta Jonathan Anderson, capo economista di Ubs ad Honk Hong. Solo il 25% delle grandi holding cinesi sono quotate, il mercato dei capitali è ancora agli inizi e non rispecchia leconomia del Paese che continua a correre.
Secondo Mauro Vicini responsabile di Websim, «quello che è accaduto nella notte ai mercati cinesi è solo un fattore tecnico». Portare allo 0,3% la tassa sugli scambi azionari significa che acquistare e vendere unazione cinese comporta costi pari a circa l1%, (0,3% di tassa allacquisto più 0,3% alla vendita che si aggiungono allo 0,4% rappresentato dalle commissioni). Basta questo a scoraggiare la domanda di azioni da parte degli speculatori di breve, ma ciò non ha nulla a che vedere con la crescita delleconomia cinese.
Quanto allItalia, continua Vicini, «non cè nessuna bolla speculativa: molte società quotano solo 10-13 volte gli utili.
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