Le Borse scommettono: «Ora la ripresa è più vicina»

Non li ha frenati neppure Barack Obama, con quel riferimento ai nuovi posti di lavoro che andranno perduti nei prossimi mesi. Dopo aver visto per mesi il bicchiere dell’economia desolatamente vuoto, prosciugato da una recessione senza fine, i mercati si sono ormai convinti che, uno dopo l’altro, i tasselli ancora mancanti si stiano incastonando nel mosaico della prossima ripresa. Indicazioni macro superiori alle attese giunte dagli Usa e la definizione della bancarotta di General Motors hanno così puntellato l’ottimismo che si è propagato ieri nelle Borse europee, con rialzi compresi tra il 2% di Londra e il 4% di Francoforte (a Milano esordio col botto per il Ftse Mib, in progresso del 3,16%), mentre a New York il Dow Jones ha concluso la sua corsa con un +2,6% e il Nasdaq con un +3 per cento. Un movimento ascendente esteso anche ai mercati petroliferi, dove i prezzi - altra chiave di lettura per interpretare i segnali di recovery - hanno abbattuto la barriera dei 68 dollari al barile, massimo dal novembre scorso.
Per quanto rialzi di questa portata siano spesso associati a reazioni emotive e a dinamiche speculative, è anche vero che i mercati tendono ad anticipare l’inversione del ciclo. Inoltre, alcuni listini faticano ancora a recuperare lo scivolone di marzo. Mesi di pessime notizie, condite da asset tossici, nazionalizzazioni e fallimenti con marcate ripercussioni sull’economia reale, avevano reso sempre più cauti gli investitori. Ma ora, la schiarita congiunturale non sembra solo un esercizio dialettico. Basta prendere come esempio due dei settori a più alto tasso di sofferenza negli Usa, quello delle costruzioni e quello manifatturiero. La spesa edilizia in aprile è cresciuta dello 0,8% (dopo il +0,4% del mese precedente), una spinta in avanti che ha preso in contropiede gli analisti (-1,5% la loro stima). Quanto all’industria, l’indice Ism è salito il mese scorso a quota 42,8 (da 40,1): i 50 punti che separano contrazione e crescita dell’attività sono ancora distanti, ma la caduta pare essersi arrestata.
Ancora più evidenti sono i segnali di ripartenza della Cina, dove il manifatturiero ha mostrato un’espansione anche in maggio, terzo mese consecutivo di crescita. Ciò provoca un effetto immediato di rialzo delle quotazioni del greggio, essendo l’ex Impero Celeste un Paese fortemente energivoro. Nel solo mese di maggio il barile è rincarato del 30% circa, e le aziende manifatturiere stanno affrettandosi a ricostituire le proprie scorte di commodity prima che queste divengano troppo care. L’indice del Journal of Commerce, che monitora l’andamento delle 18 principali materie prime ad uso industriale, a maggio è balzato del 9,5%, un rialzo che non si vedeva dal 1985.
Non manca il rovescio della medaglia. Il recupero rapido e consistente del petrolio, rischia di far saltare le stime sull’inflazione, attesa negativa fino a metà anno. E forse di condizionare tanto la politica monetaria della Bce quanto i consumi degli americani, ancora sotto stress come dimostra il -0,1% accusato dalle spese private in maggio. I 5,7 milioni di posti distrutti dalla recessione, le attuali, precarie condizioni del mercato del lavoro e la prospettiva di un ulteriore peggioramento della disoccupazione (dall’8,9% il tasso potrebbe salire al 9,6% nel 2010) certo non incoraggiano lo shopping. Gli americani, sommersi dai debiti e temendo tempi ancora duri, si sono anzi messi a risparmiare, mettendo nel salvadanaio i dollari incassati grazie al piano di stimolo fiscale dell’amministrazione Obama (+5,7% in aprile il tasso di accantonamento).

D’altra parte, sono sempre più le famiglie Usa che non riescono a pagare il mutuo, e i pignoramenti sono a livelli record. Bank of America giudica infatti le aspettative di ripresa «eccessivamente ottimistiche». Un invito alla prudenza che, almeno ieri, le Borse non hanno voluto raccogliere.

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