Cultura e Spettacoli

Il Boss tira fuori l’anima dell’America nascosta

Nel primo concerto italiano affiorano pugili senza gloria, emigranti, paesaggi cancellati. «The rising» è un brivido in un tragitto sconfortato

Cesare G. Romana

da Bologna

Diciamo pure che il re, questa sera, è nudo: così nudo che si riesce a vedergli l’anima. Che senza il galoppo invasato dell’E-Street Band, la musica di Bruce Springsteen ha la trasparenza agile d’un dipinto impressionista. Che mancano all’appello i suoi inni più celebri, quelli del vitalismo selvaggio e dell’epopea stralunata. Diciamo ancora che tra l’entusiasmo attentissimo dei fan, diecimila tra il cemento del Palamalaguti, serpeggia, qua e là, qualche sbadiglio, sarà l’afa. Ma che magico, che intenso spettacolo, questo nuovo concerto, approdato a Casalecchio di Reno dopo l’obliquo prodigio di Devils & dust, l’ultimo album, il più chiaroscurato e pensoso dopo Nebraska e lo steinbeckiano Tom Joad.
Re nudo, dunque? E sia, perché no. Senza band, senza effetti mirabolanti, senza l’enfasi sanguigna che ha modulato negli anni il mito del Boss: per scenografia un palco spoglio, luci allusive e parche, un lampadario old America, un pianoforte. Perché nulla faccia velo alla forza micidiale delle parole, in questo recital così asciutto e attoriale da rammentare, ai più edotti, i reading poetici dell’epoca beatnik. Se Springsteen appartenesse alla smilza genia dei poeti: come Allen Ginsberg, del quale ricorda certi mantra per voce e organetto, quando siede all’harmonium per intonare: «Ero felice d’essere il prescelto/poi sono crollato come un ubriaco/in cerca della mia bella ricompensa». O come Bob Dylan, che Bruce sembra evocare quando soffia nell’armonica e ne cava strazi inattesi, brividi d’ironia, lampi di rabbia.
Poi la voce. Che, affrancata dalla gabbia del rock, esplora orizzonti inconsueti, s’innalza libera in falsetti stellari, gioca su rubati, ritardi, diversioni ritmiche. E muta continuamente colore: ora aspra ora vellutata, eppoi elegiaca e rapsodica, umbratile e sardonica, interiezione o rantolo. Che voce: narrativa, interiore, sbruffona, sfilacciata. Con la sola chitarra, o il pianoforte, a sorreggerla evocando veleni blues e aromi country, sottolineando abbandoni da sogno e declamazione ibrida, alle soglie del recitar cantando.
Mai lo si è visto, il Boss, così attento a sparigliare le carte della propria leggenda, mutando prospettive e colori fino allo stravolgimento. Così la speranza raccontata in Promised land, o in Land of hope and dreams, si tramuta in resa amara, e l’erotismo estremo di Reno è quasi un de profundis, lei dice «brinda al meglio che tu abbia mai avuto», il cliente risponde che «non è questo il meglio». Come dire, la metafora della realtà d’oggi vista da un cantastorie born in the Usa, che è un po’ il tema dell’intero spettacolo: il sogno americano sgretolato nel tritacarne di quest’America imperiale e guerriera, già evocato nel disincanto di Devils & dust, per tema il lamento d’un soldato ferito e per scenario l’Irak ma non solo. O, più indirettamente, nel Cristo «pasoliniano» di Jesus was the only son: Maria che sul Golgota chiama «bambino» il proprio figlio, e par di rileggere Jacopone, lui che vede svanire il suo sogno di cambiare il mondo.
Devils & dust, davvero: demoni e polvere. I demoni della violenza, del consumismo becero, del potere sopraffattore e corrotto, la polvere delle utopie per dire il degrado d’una civiltà. E per sola rivalsa possibile, il rifugio nella memoria, la nostalgia d’una società patriarcale e magari un po’ arcadica, a compensare col rimpianto il miraggio d’un umanesimo smarrito. Perché, al di qua di quel rimpianto, la realtà non concede scampo, sembra dire il re nudo. E racconta d’amori delusi, di pugili senza gloria, di contadini senza futuro, di emigranti morti (Matamoros Bank). E di paesaggi cancellati, di cronache familiari sepolte nel ricordo.
Certo la resurrezione è possibile, sembra annunciare il Boss in The rising: e per un attimo il recital s’accende di luce, il verde dei fari sembra alludere ad un’inattesa speranza, pare far capolino l’avvento d’un nuovo ottimismo.

Che sulle ceneri delle Torri Gemelle, e oltre le bare dei morti di guerra, riesca a profilarsi l’alba d’un giorno diverso? Forse, ma è solo un brivido, in un tragitto sconfortato e scettico.

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