Bossi alza il tiro sulle Regionali: «Non mollo Veneto e Lombardia»

RomaDal cannolo alla polenta. Berlusconi non fa in tempo a digerire la grana siciliana che subito deve masticarne un’altra. Niente sapore di mare, questa volta: il piatto forte da buttar giù arriva dalle valli del Nord. Parla dal fresco della sua Ponte di Legno, il Senatùr, ma le sue parole incendiano il dibattito politico nel centrodestra. Federalismo fiscale, partito del Sud, dialetto e gabbie salariali: il capo della Lega è un fiume in piena e questa volta a metterci un argine è il triumviro Ignazio La Russa. Segno che tra Carroccio e Pdl la sana competizione non va in vacanza neppure a Ferragosto, anzi: se possibile cresce d’intensità. Gli ingredienti piccanti sono quelli impastati negli ultimi mesi da Alberto da Giussano: in testa i salari più alti per il Nord e la tutela delle lingue locali. Ma a nessuno sfugge che le vere portate al peperoncino stiano nella scelta dei candidati governatori alle elezioni regionali del 2010 e nel conseguente gioco delle alleanze.
Proprio su questo tema Bossi ha lasciato la patata bollente in mano al Cavaliere. Perché non è affatto vero che il Carroccio abbia messo una pietra sopra sulla Lombardia né tanto meno sul Veneto. Il Carroccio vorrebbe un suo uomo al comando, dopo i lunghi regni della coppia Formigoni-Galan (Pdl): «Sul governatore della Lombardia fino all’ultimo l’ok non lo diamo - ha sibilato il Senatùr - Lui è un amico che si è comportato bene ma fino all’ultimo la partita è aperta». Nessun avallo, quindi, a quella investitura del Cavaliere quando disse di Formigoni «presidente della Regione a vita». Escludendo la pedina-Maroni («Ipotesi inventata dai giornalisti»), Bossi non nasconde la sua strategia: «La Lega deve fare un discorso generale. Non c’è solo la Lombardia, ci sono anche le altre Regioni in Padania, per cui tutta la partita resta aperta». In ballo c’è il Veneto ma anche il Piemonte, la Liguria, l’Emilia-Romagna.
La Lega alza il tiro, quindi. Reclama e pretende, forte dell’ottimo risultato alle ultime europee e amministrative; e fedele alla tattica del chiedere il massimo per ottenere il meglio. L’altro tavolo che scotta, dunque, è quello veneto, dove i rapporti tra Pdl e Lega sono ossidati da tempo. Se il Carroccio dovesse rassegnarsi a lasciare a Formigoni la guida del Pirellone, mostrerà tutti i suoi muscoli lassù, nel Nord-Est. Gli uomini forti non mancano e da molto circolano voci sul sindaco di Verona Flavio Tosi e sul ministro delle Politiche agricole Luca Zaia.
Nel Pdl, intanto, il movimentismo e le rivendicazioni del Senatùr inquietano non poco e c’è chi ragiona sul come contenere l’alleato. Una strada sarebbe quella di invitare al banchetto pure l’Udc di Casini. Ma parlare di centristi a Bossi è come dargli una forchettata in un occhio. Il suo giudizio: «Lasciamoli dove sono, rompono le balle e basta. In Padania non abbiamo bisogno dei voti di nessuno, i voti li abbiamo. E poi mi domando: con l’Udc siamo sicuri poi di poter governare?». Più crudo di così. E pure Calderoli va giù duro: «Alleanze con l’Udc? Vorrebbe dire morire di fuoco amico». Dal canto suo Casini non può che esultare dei corteggiamenti pidiellini e liquida così l’ostracismo leghista: «Bossi ci conosce e ci evita perché sa che siamo gli unici ad avere il coraggio di dire di no a un finto federalismo che umilia il Mezzogiorno». Ma ad auspicare un ritorno a casa di Casini & C. sono in tanti nel Pdl: da Quagliariello a Dell’Utri, da Cicchitto a Rotondi. Un nodo, quelle delle alleanze, che potrebbe ingarbugliarsi nei prossimi mesi.
Sul fronte dell’agenda politica, invece, Bossi non frena neanche un po’. Difende a spada tratta il federalismo fiscale, bandiera storica dei lumbard e disinnesca la mina sui possibili costi della riforma: «Non costa niente, comunque a settembre metteremo i numeri accanto a ogni voce. Il vero problema è la sanità con una spesa fuori controllo. Non è possibile che al Sud una garza costi cento volte di più rispetto al Nord». Mette in guardia sui rischi di tensioni sociali: «Non si deve dare il via alla lotta di classe, non è il momento. Oggi gli imprenditori sono dei poveri disgraziati, non si deve pensare che sono contro gli operai, lavorano anche loro per il bene delle fabbriche. Tira dritto sul dialetto a scuola: «Dev’essere obbligatorio. Con il ministro Gelmini non ho parlato ma se vuole può venire qui a Ponte di legno e ne discuteremo». Non molla sui salari più pesanti al Nord: «I lavoratori devono arrivare a fine mese, in particolare al nord, dove la vita costa di più» e a dimostrazione che tutto è fuorché un pallino estivo, precisa: «Ci sono i sindacati, quindi si deve dare il via alla contrattazione. I sindacati devono parlare con il governo».
E proprio sulle cosiddette gabbie salariali (anche se “gabbie” non sono) e sui dialetti ci ha pensato La Russa a rispondere al Senatùr: «Boutade agostane, a volte il sole picchia».

Puntini sulle “i” a proposito delle buste paga: «Non ci saranno mai le gabbie salariali e neppure diversità di stipendi imposti per legge. Come si fa a comparare se costa di meno vivere a Napoli o in paesino del Veneto?».

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