da Roma
Una lunga giornata quella di Umberto Bossi. Che si apre con un vertice ad Arcore e si chiude dopo una riunione fiume a via Bellerio con tutti i deputati e senatori della Lega, convocati per la prima volta dallinizio della legislatura per una plenaria. A sera, raggiunto per telefono mentre passeggia per il giardino interno della sede del Carroccio, il segretario della Lega spiega al Giornale la strategia che adotterà al Senato lopposizione sul voto per il rifinanziamento della missione in Afghanistan. Atteggiamento che «sarà modulato» a seconda di come si comporterà la maggioranza. Sul punto Bossi è chiaro: «Se i nostri ordini del giorno e i nostri emendamenti sulle regole dingaggio saranno bocciati, allora ci asterremo. Se invece la maggioranza dovesse decidere di accoglierli, allora al momento del voto usciremo dallaula». Un modo, questultimo, per prendere comunque le distanze dal governo ma senza votare contro (a Palazzo Madama lastensione equivale al «no») e abbassando il quorum per lapprovazione del provvedimento. Una decisione, spiegava nel tardo pomeriggio il Senatùr ai parlamentari stipati nella sala del Consiglio federale, dovuta anche ai rapporti con gli Stati Uniti che «avrebbero difficoltà a capire un nostro voto contrario».
Segretario, come vi comporterete al Senato sul voto che rifinanzia la missione in Afghanistan?
«Il punto non è come ci comporteremo noi, ma come si comporterà la maggioranza».
In che senso?
«Noi abbiamo presentato da tempo i nostri ordini del giorno e i nostri emendamenti. Ora tutto dipende dal governo. Perché i rischi per i nostri soldati sono sempre presenti, però se sono tenuti in considerazione e i militari italiani vengono armati adeguatamente si possono evitare le conseguenze più gravi. Invece, mandare le nostre truppe con poche armi non ha alcun senso. Insomma, se il governo deciderà di non accogliere ordini del giorno ed emendamenti in questo senso, allora ci asterremo».
E se lesecutivo li dovesse accogliere o comunque passassero con il contributo decisivo di parte delle maggioranza?
«Allora invece di astenerci, che al Senato equivale a votare no, usciremmo dallaula».
In questo modo il provvedimento passerebbe senza problemi.
«Sì, anche perché si abbasserebbe il quorum. Comunque, al di là del nostro atteggiamento, il governo non rischia nulla».
In che senso?
«Nel senso che ha i numeri».
Cè chi sostiene che se la maggioranza non arriva autonomamente a 158 voti il governo dovrebbe dimettersi.
«Guardi, è inutile girarci intorno. A 158 ci arrivano, con o senza i senatori a vita cambia poco. Come le dicevo, appunto: i numeri li hanno».
Cosa ne pensa della posizione di Pier Ferdinando Casini?
«Non è una novità. Casini fa sempre casino. Cosa vuole che le dica? Comportandosi in questa maniera mi pare chiaro che si è messo fuori dalla Casa delle libertà».
E se il decreto dovesse passare con i voti decisivi dellUdc cambierebbe qualcosa negli equilibri interni allopposizione?
«Ma figuriamoci. Non è la prima volta che Casini gioca da solo. Sa qual è il problema?».
Mi dica.
«Che finora Berlusconi lha lasciato fare, non ha mai preso una posizione dura, netta. Anzi, ha mediato fin troppo invece di lasciarlo andare per la sua strada. Al Cavaliere bisognerebbe dare un premio per la sua pazienza e la sua capacità di conciliare e comporre».
Quando dice «finora» vuole lasciare intendere che dopo il voto al Senato non sarà più così?
«Non lo so, chiami Berlusconi e glielo chieda.
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