Bossi: «C’è solo un ministro in meno nessuno scossone nel centrodestra»

RomaOstenta sicurezza, Umberto Bossi, e sia in Transatlantico sia nel cortile di Montecitorio, prende a cazzotti chiunque gli passi a tiro per dimostrare che almeno lui e la Lega sono in forma smagliante. Passa il ministro Tremonti? Pugno nel palmo della mano. C’è nei pressi Cota? Pugno anche a lui. Al suo fianco c’è il neocapogruppo alla Camera Marco Reguzzoni? Idem come sopra. Una vera e propria dimostrazione muscolare nei giorni in cui la maggioranza pare in fibrillazione su più fronti: quello giudiziario, con la nuova offensiva delle procure; e quello politico, con i distinguo dei finiani, specie in tema di federalismo.
Bossi in realtà è teso per come stanno andando le cose ma veste i panni del pompiere: la perdita della pedina Scajola? «Lo scossone per le dimissioni del ministro non compromette la tenuta del governo», assicura il Senatùr. Anche se ammette che «c’è un ministro in meno, alla gente dispiace e anche a noi». Certo, l’addio del titolare dello Sviluppo economico è una crepa nell’immagine del centrodestra e costituisce un problema perché il nome del nuovo ministro si incastra in un delicato equilibrio tra alleati. Nei desiderata della Lega c’è senza dubbio quello che al posto di Scajola non vada una persona troppo ingombrante, destinata a estenuanti bracci di ferro con Tremonti, gestore della cassa. Le rivendicazioni del Carroccio su quel ministero non sono quindi dirette, come ammette lo stesso Bossi: «Berlusconi è il presidente del Consiglio e decide lui. Noi non siamo qui per i posti ma per i programmi». E ancora: «Ci sarà una discussione sul programma, non sul chi. E poi la Lega non fa mai una questione di posti. Voglio vedere il programma del ministero che deve trovare d’accordo pure noi». Tradotto: attenzione a non distrarre troppe risorse per altro che non sia il federalismo, specie in periodo di vacche magre. Nessuno scontro con la magistratura: «I giudici? Fanno il loro lavoro».
Di certo, però, tira una brutta aria nel Pdl. Così, meglio abbassare i toni e lanciare messaggi rassicuranti: «Non c’è nessuna spaccatura nella maggioranza e il governo va avanti». Un auspicio attraverso il quale Bossi lancia una frecciata al presidente della Camera Fini: «Il governo va avanti perché io e Berlusconi vogliamo che vada avanti». L’asse non s’incrina, il patto è saldo come l’acciaio. Anche perché se le cose dovessero precipitare la Lega vedrebbe allungarsi il cammino verso il federalismo, principale traguardo del Carroccio.
Le elezioni anticipate, quindi, sarebbero una sciagura perché vorrebbe dire buttare via tre anni nei quali, sulla carta, sarebbe possibile portare a casa i decreti attuativi. Sui quali, tuttavia, continuano a mettersi di traverso i finiani che battono sul tasto dei costi. Una critica rispedita al mittente da tutti i leghisti. L’onorevole Alberto Torazzi, per esempio, nega con forza che il federalismo sia conveniente soltanto a lungo termine e che all’inizio costi troppo: «Il vero nodo è affrontare i costi della sanità.

Perché una siringa in Calabria deve costare il doppio che in Lombardia? - punge - Alle Regioni spendaccione va detto chiaro e tondo che devono darsi una regolata e diminuire le spese. Non dall’oggi al domani, certo, ma in cinque, dieci anni. Sono tagli agli sprechi, non costi».

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