Bossi chiama Napolitano: "Subito al voto"

A Pontida il Senatùr contesta il premier e si rivolge al Colle: "Il Paese è paralizzato, il Parlamento non funziona e il governo non ha i numeri. Prenda atto della crisi e restituisca al popolo la sovranità"

Bossi chiama Napolitano: "Subito al voto"

Pontida (Bergamo) - Umberto Bossi arriva in anticipo sul palco di Pontida, davanti al «sacro pratone» del giuramento padano, trasformato dalla pioggia in una palude melmosa, e stravolge il programma. Il Senatùr brucia i «colonnelli» leghisti Maroni, Calderoli e Castelli proprio quando toccava a loro intervenire in una specie di «talk show» con i giornalisti della «Padania»; l’unico discorso diventa il suo, a parte i saluti dei sindaci che sfilano per giurare immortale fedeltà alla Padania, alla Lega e allo stesso Bossi. E il messaggio del leader del Carroccio è uno solo, rivolto al capo dello Stato. «Caro presidente, così non si va avanti: il Paese è paralizzato, la gente vuole le elezioni politiche».
Pochi accenni alla recente vittoria elettorale, ma bordate contro il governo e pressione sul Quirinale perché «prenda atto della Costituzione e restituisca al popolo la sovranità». «La Padania vuole elezioni anticipate - dice -. Il Paese chiede le riforme ma il Parlamento non funziona più perché il governo non ha i numeri per farsi approvare le leggi. È sua la responsabilità di questa crisi politica. E questo non è accettabile in democrazia, caro presidente Napolitano».
Ritto in mezzo al palco, microfono in mano, piglio deciso anche se la voce ormai è sfocata, Bossi chiama ancora il popolo leghista alla mobilitazione per la «libertà della Padania». Ha ancora la forza di urlare «Padania libera», e poi Lombardia, Veneto, Piemonte liberi. Una parola che ritorna di continuo, «siamo sempre disposti a conquistare la libertà, costi quello che costi; la vogliamo e la otterremo. Se non ce la danno ce la prendiamo, non abbiamo paura dei magistrati. Ed è una vergogna che non ci sia un solo magistrato padano, neppure qui dove siamo forti; ma è anche colpa nostra».
Parla a tratti Bossi, la malattia ha cancellato i tempi in cui arringava i padani per ore. Pontida è ancora una festa popolare, arrivano migliaia di persone (Roberto Calderoli parla ottimisticamente di 40mila), il traffico si blocca e i camper bivaccano come negli anni d’oro. Cartelli e magliette se la prendono con «faccia di mortadella» e spiegano che «Padania is not Italy»; i sindaci giurano, compreso il veronese Flavio Tosi, osannato, che però scappa subito allo stadio «perché devo sostenere la squadra della mia città in una partita decisiva». Ma la giornata si esaurisce nella mattinata, e la mattinata si condensa in poco più di mezz’ora; nemmeno Mario Borghezio scoppietta più come una volta contro i «maiali di Roma». Il Senatùr si divide tra la lotta e i ricordi, incalza Napolitano e premia i militanti storici, inneggia alla «Padania libera» e intona un peana alle donne e alla moglie «che se non ci fosse stata non ce l’avrei fatta», chiede elezioni anticipate e rievoca la prima campagna elettorale «quando pagai tutto io e dovetti vendere una casa; ma tutto è bene quello che finisce bene perché le difficoltà aiutano e accrescono la fede. Se oggi ci fosse anche mezzo metro di palta sono sicuro che il pratone sarebbe ugualmente pieno».
Un paio di volte la gente prorompe in una parola che cova come il fuoco sotto la cenere: secessione. Scandita come allo stadio o in un corteo. Bossi non la pronuncia mai. Ma la lascia aleggiare: «Ai nostri nemici dico: state attenti. Noi non abbiamo paura di niente, nemmeno del carcere. Di questo passo il Nord si alzerà e si metterà a correre per conquistare la sua libertà. Fratelli padani, questi scherzano col fuoco. Qualcuno a Roma pensa che bastava tirare in lungo per stancarci. Stancati un cazzo! Noi andremo avanti dritti verso la libertà e solo nel momento della libertà potrò ritirarmi, e con me i dirigenti della Lega. Siamo legati per la vita e per la morte».
«Adesso vedremo cosa succede in Senato - ha poi aggiunto ai giornalisti sceso dal palco -. Visco-fisco? Per la verità tutti i ministri del Tesoro dirigono la Guardia di finanza. Il problema è che il governo non ha i numeri, e se dovessimo andare al Quirinale è questo che diremmo al capo dello Stato. Gli chiederemmo come fa un Paese a dirsi democratico se il governo non ha i numeri e il Parlamento non funziona. Spero che almeno io e Berlusconi andremo da Napolitano perché tocca a lui avviare il cambiamento attraverso la via delle elezioni. Tutto dipende dal presidente».
Secondo Roberto Maroni «il segnale del voto non è stato raccolto da Roma».

Roberto Calderoli ricorda che «al Senato comandano i senatori, sul caso Visco-Speciale noi abbiamo una mozione che presenteremo mercoledì. Prodi fischiato a Trento? Ormai riesce a unire l’Italia nei fischi. Lo contestano dappertutto. E i fischi significano che deve solo andare a casa».

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