Roma - L’amore è durato il tempo di un battito d’ali, svanito nel nulla appena Fini ha capito l’antifona. Bossi non ci sta, alle avances terziste, non c’è trippa per gatti in via Bellerio per le seduzioni del trio della bella (nel senso di piacioneria) politica, Fini-Rutelli-Casini. E allora dietrofront, si torna sul repertorio classico, e quindi «la bozza Caderoli non va», il terzo polo «è fortemente critico», «noi vogliamo il vero federalismo», non quello della Lega, che però fino a 24 ore prima pareva l’imminente alleato nell’operazione elimina-Cav. Fini ha telefonato personalmente a Bossi nei giorni scorsi per tastare il terreno e fargli grosso modo questa offerta: tu molli Berlusconi, noi ti regaliamo il federalismo. La stesso gioco che anche il Pd, con altre carte (più solide di quelle del Fli) ha provato a fare mandando avanti Sergio Chiamparino, nel doppio ruolo di autorevole voce di partito e capo dei sindaci (l’Anci) che hanno un ruolo decisivo nella scrittura del federalismo municipale insieme alla Lega. Il Fli ha provato fino all’ultimo con le lusinghe verso Bossi, inviando in avanscoperta ancora Adolfo Urso (anti-leghista viscerale) che assicurava, con parole inaudite, che «la Lega è portata ad andare oltre il berlusconismo», che la Lega «sente più di altri gli umori del territorio, di quella provincia produttiva e cattolica che è stanca di questa situazione».
La risposta della Lega è stata un due di picche clamoroso, condito - nel caso di Fini - con un contropiede sugli stinchi, cioè con la richiesta ufficiale, nella riunione dei capigruppo alla Camera, di aprire un dibattito parlamentare sulla compatibilità del leader Fli con il ruolo di presidente della Camera. Però i leghisti continuano il lavoro di aggiustamento del decreto, per ottenere i voti mancanti in Commissione. Il senatore finiano Baldassarri, l’unico voto del Fli nella bicamerale che segnerà la vita o la morte del federalismo fiscale (e secondo molti anche del governo), ha chiesto una proroga di sei mesi a tutto il pacchetto federalista, ottenendo - racconta lui - una disponibilità della Lega «per tre mesi».
È evidente come l’orientamento dei partiti su un semplice decreto sia diventato un puro pretesto per misurare le forze in campo. Anche perché Fli ha sempre votato a favore dei precedenti tre decreti delegati, così anche l’Idv, mentre l’Api (che allora era ancora parte del Pd) si era astenuto senza esprimersi negativamente. Solo l’Udc, di fatto, ha sempre votato contro il federalismo (da qui le diffidenze leghiste verso Casini). Da quando la maggioranza è tornata a traballare il Terzo polo e il Pd hanno cambiato idea sul federalismo e sulla Lega. Che diventa un partito serio e radicato nel popolo sano solo quando si annusa aria di ribaltone. Però i leghisti, dopo 20 anni di palude romana, si sono fatti furbi, come i galli accampati tra gli eserciti di Roma. «Sbaglierebbe i suoi calcoli chi, tra i vecchi e i nuovi oppositori del governo, ritenesse di esercitarsi in giochetti da Prima Repubblica sul federalismo - avverte sul suo blog Giacomo Stucchi, deputato della Lega e segretario di presidenza della Camera -. La più imponente riforma della storia repubblicana non può infatti essere utilizzata come arma di ricatto politico». Ovvero: siamo pronti a modificarla, ma non a mollare il Pdl purché passi. Non che la Lega non pensi ad un dopo Berlusconi, e che guardi a Palazzo Chigi per il suo Maroni o per l’amico Tremonti. Questo scenario è realistico, ma non può passare da un tradimento del Caavaliere.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.