Bossi: «Se provano il ribaltone scendiamo in piazza con Silvio»

RomaIl concetto rimane quello, anche se le coloriture cambiano a seconda del giorno. Stavolta, nelle parole del segretario federale, sono tornati i «milioni di incazzati» del Nord che puntualmente riecheggiano quando il vento comincia a tirare dalla parte sbagliata. La folata che ha spinto Bossi ad accelerare è stata l’intervista di Napolitano al quotidiano del Pd. La Lega era in attesa di capire cosa pensasse il Quirinale della situazione paludosa in cui ristagna la maggioranza. E si può dire che la risposta arrivata dal presidente della Repubblica non sia esattamente quella auspicata dal partito di Bossi. Che su questo punto è irremovibile: non c’è spazio per «congiure di Palazzo» (come scriveva ieri la Padania), per governi tecnici, per soluzioni tutte interne alla casta.
Il Carroccio, che anche oggi è riunito a Ponte di Legno insieme al leader, sente sempre di più puzza di bruciato dietro gli accadimenti degli ultimi giorni. L’altolà di Napolitano su un voto anticipato, le uscite di Montezemolo, i continui strappi dei finiani, le ambasce del Pd (pur sempre il partito di provenienza del capo dello Stato) sull’ipotesi di un’elezione che prenderebbe alla sprovvista prima di tutto i Democratici... Il voto, come unica via di fuga dallo stallo seguito alla diaspora finiana, è diventato il vero spartiacque tra due schieramenti in campo, Pdl-Lega da una parte (con una curiosa consonanza su questo da parte dei dipietristi) e il resto dell’opposizione (spalleggiata da una fetta dell’establishment) dall’altra, favorevole a una soluzione parlamentare che sembrerebbe restare, al momento, anche quella preferita dal Colle. «L’idea di un governo tecnico è fuori dal mondo» ha spiegato Bossi ai cronisti radunati in un hotel di Ponte di Legno. «Non può passare e poi le elezioni le ha vinte Berlusconi. Non è che non conta. Conta. Sono convinto che non riusciranno a fare pasticci». Anche perché «Berlusconi porterebbe in piazza la gente. Se la Lega si unisce, tra Piemonte, Veneto e Lombardia sono milioni di persone, e tutti incazzati». E lo ha ribadito in serata a gran voce Roberto Calderoli, dal palco di Pontida. «Noi abbiamo l’obbligo di realizzare le riforme, L’alternativa sono le elezioni, diversamente altro che piazza, il Nord se ne va. Se qualcuno vuol fare un colpo di Stato ne paga le conseguenze», ha tuonato il ministro. Con la stoccata finale diretta al presidente della Camera: «Ogni volta che parla Fini guadagniamo voti, quando parla Bocchino li raddoppiamo e quando si parla di Montecarlo li quadruplichiamo», ha rilanciato Calderoli.
Un governo tecnico sarebbe una sciagura per la Lega. Primo, perché viceversa il voto segnerebbe quasi certamente un avanzamento notevole del Carroccio, anche in regioni nuove. Secondo, e più importante ancora, è che il destino del federalismo verrebbe seriamente messo in discussione da un’improbabile maggioranza «terzista». «Un governo tecnico sarebbe «rischiosissimo per noi», dice Bossi, perché «cancellerebbe le leggi che non interessano né a Fini né a Bersani sull’immigrazione».
Il ricorso alla piazza è un’eventualità già sperimentata dalla Lega, che contro il governo Prodi spedì a Roma, con viaggi andata e ritorno in autobus nello stesso giorno, 100mila «padani». «Non c’è dubbio che basterebbe far partire un po’ di fax per radunare in quattro e quattr’otto un esercito di militanti; noi, diversamente dagli altri partiti, in estate siamo sempre in campagna elettorale» spiega Raffaele Volpi, deputato leghista e componente della commissione Affari costituzionali, quella più importante per la Lega. In effetti, tra incontri pubblici con parlamentari della Lega e feste di partito, la lista degli «eventi» estivi del partito è fitta come un elenco telefonico, tra Comuni anche minuscoli dal Piemonte al Friuli-Venezia Giulia.
Non è difficile immaginare quindi che una chiamata alle armi da parte di Bossi, contro le manovre di palazzo, avrebbe effetti pressoché immediati e con numeri considerevoli. La situazione «non è allegra», ammette il Senatùr, Berlusconi «sta provando a ricucire» lo strappo nella maggioranza «ma dopo il casino che c’è stato come fanno?». Però l’idea di un governo tecnico non regge. Chi mai sarebbe chiamato a guidarlo? Giulio Tremonti? «Non lo farebbe mai», dice Bossi che annuncia anche una sua visita al ministro dell’Economia in occasione del suo compleanno il 17 agosto. Non lo farebbe perché «vuole bene a Berlusconi, e poi non lo appoggerei». Montezemolo? «Se entra in politica cercherà di vincere e cercherà di agganciarsi a chi possa farlo vincere», cioè a chi ha i voti, ovvero «io e Berlusconi». Ma su Montezemolo gli umori del partito sono ben più duri di quanto non traspaia dalle parole del capo.
Elezioni dunque, a meno che Berlusconi non trovi una soluzione al pantano. Altrimenti, non c’è altra strada che rispetti la volontà popolare.

Anche perché dal punto di vista leghista, governare con un Pdl «ricompattato» dall’uscita di Fini sarebbe una situazione ideale. I numeri, se si andasse a votare, si raggiungerebbero senza problemi. Il problema semmai è che qualcuno manovri per non arrivarci, alle urne.

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