da Roma
Erano anni che non accadeva, ma lunedì sera, per la prima volta da tempo, la consueta cena del lunedì tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi si è conclusa con un nulla di fatto. Lunico piatto servito ad Arcore, infatti, è stato quello della legge elettorale e, nonostante le ripetute rassicurazioni del Cavaliere, per il Senatùr e i colonnelli leghisti presenti è stato comunque indigesto.
Il Carroccio, infatti, è tutto concentrato sul disinnescare la «bomba a orologeria» del referendum sulla legge elettorale, che se il Parlamento non dovesse intervenire sulla materia potrebbe andare al voto a primavera del 2008. Un problema che per la Lega viene ben prima delle prossime amministrative e, forse, pure del federalismo. Perché, spiega Bossi durante la cena, se i quesiti dovessero passare «per noi sarebbero una pietra tombale». Su questo, fa quindi presente il Senatùr, «non si può scherzare». Un ragionamento su cui Berlusconi ripete più volte di trovarsi daccordo, assicurando ai suoi commensali che «Forza Italia non appoggerà il referendum». Questa volta, però, per il leader della Lega e soprattutto per i suoi colonnelli (erano presenti Maroni, Calderoli e Giorgetti) le parole non sono sufficienti. «Sai che di te mi fido», spiega Bossi, ma cè bisogno «di un gesto formale» perché su un problema tanto delicato «non possiamo andare avanti senza un paracadute». Le altre questioni, dunque, si potranno affrontare solo dopo aver chiuso la partita referendaria: dalle alleanze per le amministrative fino alla Federazione. Sul punto il Senatùr è chiarissimo: «Finché non si risolve la questione, noi restiamo con le mani libere e ci teniamo aperta la possibilità di andare da soli al voto di primavera». E questo nonostante le obiezioni di alcuni dei presenti (per Forza Italia cerano Aldo Brancher e Giulio Tremonti), preoccupati che ritardare il tavolo sulle amministrative possa portare a «unerosione dellenorme vantaggio» che ci danno i sondaggi.
Insomma, un incontro «interlocutorio». Così lo definisce Roberto Maroni, che per la cena di Arcore ha pure rinunciato a una diretta su Milan Channel (ma domenica aveva saltato il congresso del Piemonte per andare a vedere il Milan a San Siro). E questo nonostante le rassicurazioni di Brancher, che già prima che iniziasse la cena spiegava che «linvito di Bossi sul referendum va accolto» perché «la priorità è la legge elettorale» e «tutto il resto viene dopo». Daltra parte, andava ripetendo ancora ieri Calderoli, «il referendum non solo scardinerebbe la democrazia, negando la possibilità di vita alle forze politiche al di fuori dei partiti unici, ma destabilizzerebbe anche il Paese determinandone limplosione». Già, perché il vicepresidente del Senato - ad Arcore lha ripetuto più volte - è convinto che i due quesiti porterebbero a una sorta di «superporcata». «Tu e Fini - è stato il suo ragionamento - non lavete studiato in prima persona e vi affidate a quello che vi dicono i vostri esperti, ma se ve landate a leggere capirete anche voi che se dovesse passare si arriverebbe allingovernabilità, con una maggioranza alla Camera e unaltra al Senato». Parole a cui il Cavaliere ha risposto garantendo il suo appoggio. Daltra parte - avrebbe detto - Donato Bruno e Andrea Pastore hanno lasciato il Comitato promotore del referendum proprio come avevate chiesto voi.
Per la Lega, però, quello resta solo «un ottimo segnale» e «a questo punto serve ben altro». Perché, spiegava ieri in Transatlantico Giancarlo Giorgetti, «Berlusconi deve scendere in campo in prima persona». Come, però, ancora non sembra essere chiaro. Di certo cè che Bossi ha chiesto al Cavaliere di «occuparsi del problema» e «metterci la faccia come dovrebbe fare il capo dellopposizione».
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