da Roma
La minaccia del referendum, certo. Ma pure la stagione congressuale, iniziata con la Lombardia e destinata a finire solo in primavera con il congresso federale. In mezzo, quelli nazionali di Piemonte (al via domani) e Veneto (posticipato a marzo). Quattro mesi nei quali la Lega si rimette a nuovo dopo la lunga parentesi di governo e la difficile transizione che si è aperta l11 marzo del 2004 con il malore di Umberto Bossi. E che pare essersi definitivamente chiusa qualche mese fa, quando il Senatùr ha iniziato a dare i primi veri segnali di insofferenza verso quei dirigenti che si erano un po fatti prendere la mano ed è tornato a picchiar giù duro, quasi come ai vecchi tempi. La dimostrazione lha data al congresso lombardo e la sta dando in questi giorni sul referendum, prima con il tira e molla con Berlusconi e poi dando mandato ai suoi colonnelli di «trattare a 360 gradi». DallUdc (di ieri lincontro con Lorenzo Cesa) al ministro delle Riforme Vannino Chiti.
Il congresso del Piemonte. Chiuso il nodo della Lombardia, dicevamo, restano le partite di Piemonte e Veneto, la prima di fatto già chiusa. Domenica, infatti, il segretario uscente Roberto Cota sarà lunico candidato alla segreteria, forte di un trend elettorale che dal 2001 a oggi è sempre stato in crescendo e che alle ultime politiche ha fruttato tre deputati e un senatore. Non a caso, a San Giusto Canavese dopodomani ci saranno i vertici nazionali della Lega, da Calderoli a Maroni fino allo stesso Bossi che interverrà dopo la chiusura delle urne. Insomma, se mai ce ne fosse stato bisogno, uninvestiture in piena regola. Cota, tra laltro, pare intenzionato ad approfittare delloccasione congressuale per dare anche lui una sterzata movimentista. Lanciando il modello catalano per il Piemonte e invitando Mercedes Bresso ad essere interlocutore del Carroccio sul federalismo. Anche le alleanze alle prossime amministrative - dovrebbe essere il succo del suo ragionamento - saranno condizionate al federalismo, per il quale la Lega è disponibile a maggioranze trasversali.
Il nodo del Veneto. Ben più complessa, invece, la partita del congresso Veneto, che inizialmente in calendario per febbraio è stato posticipato a marzo. Il segretario uscente Gian Paolo Gobbo, infatti, nonostante sia intenzionato a ripresentarsi non ha ancora formalizzato la candidatura. Colpa di alcuni sommovimenti interni che pur se non sono sfociati in una candidatura alternativa non sembrano tranquillizzare luomo che ha preso in mano la Liga Veneta nel dopo Comencini. Lo «spartiacque» sembra essere la spaccatura del Carroccio a Vicenza. Dove Stefano Stefani, senatore e uomo molto vicino a Bossi, è in rotta di collisione con Manuela Dal Lago (pro Gobbo), presidente della provincia e ormai sul punto di lasciare definitivamente la Lega. Sarebbe Stefani, sostengono i trevigiani, a spingere per un candidato alternativo. Che potrebbe venire da Verona, dove lo strapotere di Treviso non è mai stato troppo digerito. Si fanno i nomi di Flavio Tosi, assessore regionale alla Sanità, e di Federico Bricolo, molto vicino a Giancarlo Giorgetti e allo stesso Bossi (con cui ha festeggiato il capodanno a Gemonio). Bricolo, però, non pare intenzionato a infilarsi in uno scontro allarma bianca da cui la Liga Veneta potrebbe uscire con molti acciacchi (anche perché a Verona quasi un terzo dei voti congressuali sono in mano allex senatore e sindaco di Peschiera del Garda Umberto Chincarini, ancora scottato dallesclusione alle politiche). E chi lo conosce è certo che potrebbe decidere di candidarsi solo se glielo chiedesse direttamente Bossi. Della partita potrebbe far parte anche Luca Zaia, giovane e attivissimo vicepresidente della Regione. Che però ha il neo di essere anche lui trevigiano, non costituendo dunque una vera alternativa a Gobbo.
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