Bossi: «Trattiamo anche col Pd per avere il federalismo fiscale»

Il ministro delle Riforme zittisce i fischi di chi contesta il dialogo e assicura: «È il solo modo per farlo. Ma se ci pigliano in giro attaccheremo a milioni nelle piazze»

nostro inviato a Pontida (Bergamo)
L’Umberto, i ministri, i parlamentari, la gente, i manifesti con le facce degli indiani «che ora vivono nelle riserve perché non hanno potuto mettere regole all’immigrazione». Non mancava nulla alla festa del giuramento leghista di Pontida. Nemmeno un convitato di pietra: il Partito democratico. Assente, ma presentissimo, evocato da Bossi, accarezzato perfino da Roberto Calderoli che si è abbandonato a un complimento senza precedenti al presidente Giorgio Napolitano: «È come un buon Amarone, migliora invecchiando, come i vini rossi di qualità. E lui rosso lo è stato davvero».
Non ci sono minacce di ribaltoni nei comizi di Pontida, il sole che ha asciugato il pantano del «sacro prato» non ha scaldato le teste. C’è però la determinazione del cacciatore che vede la preda a portata di mano: «Avremo finalmente il federalismo fiscale», scandisce il Senatur.
E c’è un avvertimento neppure troppo velato agli alleati più tiepidi: «Il lombardo-veneto è un popolo che quando si incazza va fino in fondo. Stiamo trattando con la sinistra, con i ministri ombra di Veltroni, Calderoli e io passiamo i pomeriggi a negoziare anche una sola parola. Il federalismo fiscale lo stiamo mettendo a punto con loro, è l’unico modo per farlo passare, così evitiamo che ci piazzino un altro referendum come per la devolution, e addio». «Dovete andare via da qui con la coscienza che la libertà padana verrà - dice ancora Bossi -. Dio non ci ha creati schiavi di Roma, ma liberi».
Il leader del Carroccio lancia segnali al Popolo della libertà («se tradiscono, gli alleati sono praticamente estinti») e sembra fidarsi della pattuglia di esperti del Pd con cui si confronta, al punto da zittire i fischi del popolo padano che contestano l’apertura ai ministri-ombra. E se la mediazione con la sinistra non andasse in porto? Se fallisse la «via pacifica alle riforme», come la chiama lui? Se qualcuno «ci pigliasse in giro»? Allora niente manovre di palazzo per ottenere «la libertà contro il centralismo statale», ma «la lotta dei popoli». «Centinaia di migliaia di persone, forse milioni, sono pronti a battersi quando arriverà il segnale. Ora sono nell’ombra ma si preparano a balzare fuori, a gettarsi nella mischia. Dalle Alpi a Venezia alla pianura, sono pronti a scatenarsi. Sì, noi uniti facciamo paura. Ben venga anche la paura per la nostra lotta di liberazione».
Bossi lo ripete più volte nel suo discorso, non parla di rivolte, pensa più a un movimento organizzato di popolo: «Se il Parlamento non ci darà quello che vogliamo dovete piombare a Roma, dovete darci una mano, dovete essere pronti a tutto. Il federalismo fiscale lo faremo nelle piazze attaccando a testa bassa». Il successo elettorale galvanizza la Lega soprattutto perché il consenso comincia ad allargarsi. «I lombardi, i veneti, i piemontesi rinnovano il giuramento da più di vent’anni, ma questa volta vedo tanta gente nuova, arrivata anche da lontano, non soltanto i padani hanno simpatia per la Lega ma tante persone che capiscono che il nostro modello funziona». Il modello del federalismo e della lotta all’immigrazione clandestina. «Noi non vogliamo fare la guerra agli immigrati, vogliamo percorrere una via democratica verso le riforme, l’unica in grado di farle passare. Ma non ci devono ingannare».
L’altro punto su cui Bossi insiste è la condizione economica di tanti italiani. «La gente fa fatica a campare, è un grosso problema. Operai, pensionati, sono tanti i poveri». Ne dà una spiegazione originale: «È colpa degli speculatori. Quelli che negli anni scorsi speculavano in Borsa e portavano via i risparmi alla povera gente, adesso speculano sui prezzi della benzina e degli alimentari. Sono cose di cui il governo dovrebbe preoccuparsi perché la gente è povera».
E il federalismo fiscale, per Bossi, è la prima risposta: «Io sono uno che spera di riuscire a lasciare qui un po’ di soldi. Basta con i sindaci che devono andare a Roma con il cappello in mano perché hanno le casse vuote. Dobbiamo essere padroni a casa nostra. Io combatterò.

E poi ci saranno i nostri figli a continuare, a sacrificarsi per la causa padana». E ai 50mila che lo applaudono, dopo aver ricordato di esser stato criticato, prima delle elezioni, per la mancata convocazione del congresso della Lega, promette: «Si farà entro l’anno, avete la mia parola».

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