Botteghe all’antica Da Annibale, quando la macelleria è un palcoscenico

Persino andando a comprare una bistecchina è possibile, a Roma, fare un salto nel tempo e godere di uno spaccato della vita quotidiana dei nostri antenati. Nella Macelleria da Annibale - negozio storico riconosciuto - sopravvive un affascinante esperimento commerciale di fine Ottocento, vero testimone del gusto, delle abitudini alimentari e delle strategie di comunicazione di un’epoca. Centesima macelleria romana del ricchissimo Alessandro Talacchi, fu aperta nel 1893 in via Ripetta 236, accanto a piazza del Popolo, dove, fin dall’antichità venivano ammassate le «capate» (le bestie scelte per la macellazione), portate a Roma attraverso la Cassia e la Flaminia. Non potendo, per legge, aprirne altre, Talacchi arredò l’ultima bottega con la munificenza di un signore rinascimentale. Il nome del negozio era «Novità»; l’intenzione quella di accogliere il pubblico in una raffinata boutique della carne, col banco sistemato per la prima volta in modo che il macellaio trattasse vis-à-vis con la clientela. Già dall’entrata colpisce il lusso delle rifiniture delle porte: all’esterno, girali in ferro battuto ospitano i medaglioni bronzei con il monogramma di Talacchi; all’interno, scorrono su rotelle due grandi lastre di marmo bianco, per preservare il fresco. Il banco è una specie di altare, in marmo di Carrara, levigato e convesso, rifinito in Rosso di Portogallo, con volute finemente scolpite e altorilievi in bronzo raffiguranti scene di bovini al pascolo. Per la verità, è scomodissimo, ma l’attuale proprietario, Annibale Mastroddi - che rilevò il locale nel 1964 - ha sacrificato la comodità al gusto per le belle cose antiche, rifiutando il restyling offerto da un famoso architetto. Ancora in uso sono l’antica stadera e i ganci bronzei a testa di montone. La bottega è stata scelta come palcoscenico per una pièce teatrale, in cui si narrava la storia di un macellaio, morbosamente attratto da abbacchi e polli ruspanti. Qualche signora del pubblico sveniva immancabilmente al colpo di scena finale, quando il panno dietro al bancone cadeva improvvisamente, rivelando sanguinolente teste d’agnello.

Tra i clienti abituali c’erano Vittorio Gassman, che un giorno vi declamò alcuni passi della Divina Commedia, Ugo Tognazzi, che vi acquistava le pance di manzo per i suoi famosi brasati, Severino Gazzelloni, che una volta vi suonò il flauto, Mastroianni, Sophia Loren, Monica Vitti e tutti i fratelli De Filippo. Tra le specialità gastronomiche, la trippa non trattata e i 18 tagli diversi per il bollito, autentica passione di Annibale, che ne conosce tutti i segreti.

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