da Milano
Un referendum per preservare l’attuale statuto cooperativo di Bipiemme e quindi minare le fondamenta del piano di integrazione con Popolare Emilia Romagna. L’ultima parola spetta al cda e all’assemblea dei soci, ma il tiro alla fune tra il presidente Roberto Mazzotta e alcune componenti dei potenti sindacati interni prosegue. Questa volta a fare da testa d’ariete in Piazza Meda (più 54% a 398,7 milioni i profitti del 2006 a fronte di un dividendo migliorato del 133% a 0,35 euro e di un cost-income in discesa al 60,6%) è però l’«Associazione Amici della Cooperativa Banca Popolare di Milano». In pratica, l’organismo che raccoglie la grande maggioranza dei dipendenti-soci del gruppo, a cui alcuni iscritti hanno chiesto una «Consultazione referendaria» sulle prospettate nozze con Popolare Emilia Romagna.
La raccolta delle firme è appena iniziata ma il piano di battaglia è contenuto in un documento indirizzato al consiglio direttivo dell’Associazione. In tutto una paginetta, di cui il Giornale è entrato in possesso, articolata su tre punti preliminari: ottenere da Mazzotta, cda e collegio sindacale «informazioni più dettagliate» sull’operazione con Modena, verso la quale sono in corso trattative in esclusiva per sancire la fusione; convocare assemblee in cui discutere del «modello partecipativo dei dipendenti» di Milano; intervenire in sede istituzionale per tutelare il voto capitario e l’istituto delle deleghe. Fino al climax finale: ottenere un referendum per esprimere il favore o meno circa il «definito accordo di aggregazione» tra Milano e Modena, «con le conseguenti modifiche degli assetti strutturali e societari». Una volta raggiunto il quorum di 1.200 firme (l’Associazione conta oltre 6mila iscritti) la consultazione potrebbe avere luogo tra un paio di mesi. Con l’evidente obiettivo di «sensibilizzare» l’eventuale assemblea straordinaria chiamata ad approvare il piano di integrazione con Popolare Emilia.
Molto dipenderà dall’orientamento finale delle principali sigle sindacali. Tra esse continua una fronda, per il momento difficilmente quantificabile, che considera «indigesta» la paventata trasformazione in spa delle due promesse spose, così da creare una holding cooperativa comune, sotto cui troverebbero posto le banche reti. Passo che secondo alcuni sindacati significherebbe vedere almeno dimezzata l’influenza oggi esercitata sul board della Milano: dove esprimono 16 consiglieri su 20. Un assetto non certo diffuso in Piazza Affari e dal quale sembra intenzionato a mantenere le distanza anche l’ad di Bper, Guido Leoni. A questo punto la mossa spetta a Mazzotta che già nelle scorse settimane si era prodigato per ricomporre i contrasti con una parte della propria base sociale.
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