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Br libero, Caselli difende la casta «I magistrati non hanno colpe»

Br libero, Caselli difende la casta «I magistrati non hanno colpe»

da Roma

Non si può chiudere una persona in prigione e buttare la chiave. Anche se si tratta di un terrorista pluriomicida. Concedere la semilibertà a Piancone è stato un errore ma non per questo si deve crocifiggere l’intera magistratura: il vizio semmai è nella legge Gozzini che può essere cambiata.
Si alza il tono della polemica sulla vicenda del brigatista mai pentito Cristoforo Piancone e interviene pure il procuratore generale di Torino, Giancarlo Caselli. Non per difendere l’indifendibile scelta di chi ha deciso che quel terrorista, mai dissociato, poteva uscire dal carcere e avere una libertà di movimento tale da permettergli di procurarsi armi da fuoco e tornare a delinquere. Ma per spiegare quanto sia difficile il mestiere del magistrato che spesso non è aiutato dalle leggi.
«Le polemiche sono inevitabili e giuste, guai che non ci fossero. Ma trovo ingiusto prendere a pretesto il caso Piancone per scagliarsi contro la magistratura», dice Caselli ai microfoni di Radio Città Futura. Questa magistratura ora finita sotto accusa, osserva, è la stessa «che le Br ha contribuito a sconfiggerle, lavorando duro insieme a poliziotti e carabinieri». Certo anche Caselli resta perplesso di fronte al percorso giudiziario del br: i dubbi, riflette, sono più che legittimi. «Non si può non interrogarsi su cosa è successo quando una persona, condannata per un grave delitto, nel momento in cui gode di questi benefici commette un altro delitto - dice Caselli -. A maggior ragione se tutto questo si intreccia con la sacrosanta rabbia dei parenti delle vittime e con la crescente paura e incertezza dei cittadini. Però bisogna tenere fermi alcuni punti, prima di tutto non generalizzare».
Quello di Piancone, prosegue «è un caso grave, che fa giustamente scandalo perché è un fatto molto negativo». Allo stesso tempo però Caselli invita a ricordare pure «quei tanti casi di benefici concessi a condannati che non tornano a delinquere, che anzi grazie ai benefici vengono reinseriti, con ricadute positive sulla sicurezza della collettività».
Il procuratore di Torino poi sottolinea che quello del magistrato di sorveglianza «è il mestiere più difficile che esista all’interno della magistratura. Si tratta di prevedere se chi ha già commesso delitti sarà capace di non commetterne più».
Certo in questo caso, prosegue, «indubbiamente c’è stato un errore di valutazione, ma se a una richiesta di benefici uno rispondesse sempre no, sarebbe come buttare via per sempre la chiave dei condannati e di fatto svuotare, vanificare, abrogare la legge». E «questo un magistrato non lo può fare», dice Caselli che osserva come sia la legge che finisce per costringere «i magistrati ad assumersi il rischio, un rischio pesantissimo».
Una via c’è, ed è quella subito suggerita anche da altri magistrati (come il procuratore aggiunto di Torino, Maurizio Laudi): cambiare la legge Gozzini. «Se non si vogliono correre questi rischi allora si modifichi la norma: diciamo che per determinati reati i benefici non sono possibili. Circoscriviamo l’efficacia della legge Gozzini, ma senza dimenticare gli effetti positivi prodotti in questi anni da quella legge», insiste Caselli.
Il magistrato infine non azzarda ipotesi sulle ragioni che hanno spinto Piancone alla rapina ma parla di modalità che appartengono «agli schemi di comportamento dei brigatisti del passato.

Potrebbe essere una coincidenza, ma potrebbe anche essere un sintomo del riaffiorare di qualcosa che non è soltanto criminalità comune».

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