TRA LE BRACCIA DELLA MONROE

Affezionarsi a un cane è facile: non discute, non giudica, ama incondizionatamente. Affezionarsi a Maf è un’altra storia, ma il gioco vale la candela. Maf è un cane, certo, ma un cane diverso da tutti quelli che vi è capitato di conoscere fino ad oggi. E anche da tutti quelli che vi sia capitato di leggere nei romanzi e nei racconti, vedere in tv, al cinema, nei fumetti e persino di immaginare nella vostra fantasia di ragazzini a cui i genitori, un cane, lo hanno sempre negato. Maf è il cane della Donna che ha fatto innamorare il mondo. E glielo ha regalato la Voce che ha fatto innamorare il mondo. Lei è Marilyn, lui è Sinatra. Frank compra un barboncino bianco dalla mamma di Natalie Wood (È Hollywood, bellezza, mica si prendono le bestie al canile) per risarcirla del cane perduto con il divorzio da Arthur Miller e Marilyn, con il consueto candore, non trova nome migliore per il piccolo animale, visti i noti legami con la malavita del donatore, di «Mafia Honey». Per gli amici, Maf.
I biografi hanno cercato più volte di stabilire quale fosse, oltre a quello cinofilo, il legame tra i due, amici dai tempi de Gli spostati, quando il crollo psichico di Marylin aveva fatto preoccupare Frank, che la chiamò e la richiamò per accertarsi che andasse tutto bene, poi la invitò insieme al cast del film nel suo albergo vicino al lago Tahoe, sul confine tra California e Nevada. Un luogo dove Marilyn tornò molte volte, nei suoi due ultimi anni di vita, tanto che alla fine, insieme a Dean Martin, Sammy Davis, Jr. e Peter Lawford, anche Marilyn Monroe divenne un membro ufficioso del cosiddetto Rat Pack, il «club» di amici intimi dello show business di Sinatra.
Fin qui tutto vero. Ora però provate a immaginare che Maf, il cane, abbia conservato di quel periodo d’oro, quel periodo in cui oltre a lui venne presentata a Marilyn almeno un’altra celebrità nota al mondo e alla Storia con tre lettere, un memoir. Mai scritto canino, ammesso ne esistano altri, sarebbe più ambito. Mai impressioni, aneddoti, date e luoghi sarebbero più indagati e interpretati. Stiamo parlando di un cane, è vero, ma quanti di noi vorrebbero aver incontrato anche solo la metà delle persone che accarezzarono il musetto di Maf? E quanti cani vorrebbero aver affinato la propria capacità di osservazione, il proprio flair su costumi, fisiognomica e società tanto da potersi annotare che «La candida fila di denti di Frank crea un impeccabile pendant con la striscia candida del fazzolettino che spicca dal taschino della sua giacca». Oppure, a proposito di Natalie Wood in presenza di Sinatra: «Fu come se qualcuno avesse dolcemente girato la manopola del congelatore: i suoi occhi presero a brillare, duri, mentre la sua temperatura scendeva di parecchi gradi».
È questo che deve aver pensato lo scrittore scozzese Andrew O’Hagan quando ha deciso di fare da ghostwriter al tenero Mafia. E di raccogliere il suo diario in Vita e opinioni del cane Maf e della sua amica Marilyn Monroe (uscirà in Italia per Fazi nell’autunno 2011), un romanzo che, riscosso un tiepido successo nel Regno Unito la scorsa estate, è in libreria da meno di un mese negli Stati Uniti e sta facendo impazzire critici e lettori. Il libro era atteso negli Usa anche perché ad agosto venne dato per certo un film tratto dal romanzo, in cui George Clooney avrebbe interpretato Sinatra e Angelina Jolie Marilyn. I due smentirono nei giorni successivi. Fatto sta che la temutissima Michiko Kakutani, critica del New York Times, si è talmente affezionata a Maf che per recensirlo, e premiarlo per la sua verosimiglianza di cane-star, si è prodotta lei stessa in un esercizio di stile canino, facendosi ventriloqua di un altro cane stranoto negli Usa, Brian, il cane parlante dei Griffin.
Il Maf di Andrew O’Hagan - prima di questo libro, lo scrittore, classe 1968, ha pubblicato Ai nostri padri, Bravissima, Resta con me, tutti tradotti da Frassinelli - è uno straordinario aspirante libero pensatore, con qualche tendenza trotzkista, nato in una fattoria scozzese (e qui O’Hagan deve essersi sentito chiamato in causa come connazionale del cucciolo), acquistato dalla domestica di Vanessa Bell e portato a Bloomsbury. Dove ovviamente apprende quanto è necessario alla cultura di base di un cane che abbia velleità intellettuali. Ed è qui che Christopher Isherwood lo scopre e, quando Frank decide di addolcire l’umore di Marilyn straziata dalla separazione con Miller, lo mette in contatto con i Bell, da cui la mamma di Natalie andrà in volo a prelevarlo. Dopo tutti questi pretenziosi passaggi di mano, Maf viene su un po’ snob, è inutile dirlo. Come tutti i veri snob, gradisce la compagnia della servitù, perché tiene ogni cosa al suo posto e permette agli artisti di vivere la dovuta libertà. D’altra parte, Maf è un Maltese, la più aristocratica delle razze canine: «Un mio parente fece compagni a Maria regina di Scozia» ci fa sapere, nel descrivere il suo pedigree. «Un altro si conquistò le attenzioni di Maria Antonietta. E dei miei antenati rappresentati nell’arte, non si può dir di meno, come quel piccolino della Visione di Sant’Agostino del Carpaccio...». E così via, per pagine deliziose e intriganti, in cui Maf dibatte di Aristotele e Plutarco e Dostoevskij, dei grandi cani della letteratura, del talento e degli «umani», come la sua «insensata» Marilyn, che parla di lui come «di quella dolce cosetta che vuole solo il suo lettino».

Ce n’è di che affezionarsi come ad un vero maitre-à-penser. Tanto da far scrivere al cane Brian, attraverso il NYT, che a legger questo romanzo, più che al che dolce “Mafia”, un vero cane si sentirebbe più “affine” alla platinata Marilina.

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