Brasile, non solo Battisti la bella vita del terrorista: "Fa il guru in televisione"

Mancini (ex Potere operaio) è stato condannato per l’uccisione a Milano del vicebrigadiere Custra. Ma da anni fa il produttore a Rio. Il nostro inviato cerca di incontrarlo, ma lui scappa: "Sono molto impegnato"

Brasile, non solo Battisti 
la bella vita del terrorista: 
"Fa il guru in televisione"

nostro inviato a Rio de Janeiro

Toc toc. «Buongiorno, il titolare per favore...». Cala il silenzio nell’elettrizzante palazzo hi-tech al 414 di rua Alvaro Ramos a Rio, quartiere di Botafogo, culla della polisportiva bianconera dell’imprendile Garrincha. Chiediamo del producer Pietro Mancini, guru del centro servizi videocinematografici StudioLine e prim’ancora sociologo nonché cattivo maestro come l’amico Toni Negri, trascorsi in Potere operaio e nell’Autonomia, rincorso invano da una condanna a 20 anni che grazie ai cavilli e agli appoggi dei politici brasiliani non sconterà mai. La segretaria del capo è titubante, forse perché Mancini l’aveva preavvertita della possibilità che arrivassero quelli del Giornale che poco educatamente aveva liquidato al telefono il giorno prima. «Il signor Mancini chiede di sapere chi siete», balbetta la signorina. Ci presentiamo all’interfono. Nome, cognome, testata giornalistica: «Il Giornale? No, no, guardate – taglia corto l’ex katanga - sono molto impegnato con una produzione importante e complessa, non posso proprio». Insistiamo. Siamo qui per Battisti, per parlare dei latitanti, dei vostri appoggi politici. Anche stavolta la parola scompare d’incanto e la linea si fa improvvisamente muta. Clic.
Il rappresentante più ciarliero del Carp, il comitato di assistenza ai rifugiati politici in Brasile schierato nella difesa a oltranza di Battisti, non apre bocca. In compenso per lui parlano le confidenze dei connazionali all’estero, i verbali della polizia locale, le dichiarazioni choc sulla giustizia in Italia, gli attestati di stima dei tanti politici di Lula schierati a favore della non estradizione sua e dell’assassino dei Pac. Parla soprattutto la bella vita che fa sotto il Corcovado grazie all’impresa di famiglia specializzata nella produzione di video, documentari, campagne pubblicitarie e commerciali, soprattutto istituzionali e politiche. Specie per il Pv, il partito Verde di Fernando Gabeira, l’ex guerrigliero ed ex sequestratore di ambasciatori americani, diventato deputato e difensore principe della causa Battisti: per la campagna elettorale del parlamentare amico, Mancini avrebbe intascato un bel po’ di real.
Alla faccia. Che carriera per il sociologo originario di Ascoli Piceno. E che agganci. Quanto sono lontani i tempi in cui l’allora sindacalista metallurgico della Cisl optò per la rivoluzione a mano armata e la partecipazione a un gruppo sovversivo («rosso» e non solo). Tempi che gli costarono una comparsata al processo 7 aprile e anche una condanna in concorso – ancora da scontare – per l’omicidio del vicebrigadiere della Celere Antonio Custra ammazzato durante gli scontri di piazza, 14 maggio ‘77 a Milano, immortalati dal più celebre scatto degli anni di piombo (un manifestante che spara a due mani in mezzo alla strada). «Ero lontano dagli scontri – continua a difendersi il Nostro - non è vero che portai io le armi». Arrestato dalla polizia federale di Rio de Janiero il 22 giugno 2005, riacciuffata la libertà appena sei mesi dopo, grazie a un bonus di 15 anni di prescrizione gentilmente concesso dalla Corte d’assise di Milano dal 9 maggio scorso l’ex katanga è un cittadino ancora più libero di quanto lo fosse il giorno in cui il Brasile, ovviamente, respinse in pompa magna la richiesta di estradizione in Italia. Provvidenzialmente Mancini attraversa l’oceano prima dell’inizio dei processi che lo costringeranno alla latitanza perenne. Lascia a Milano i compagni di lotta e i suoi tre figli, e a Rio si organizza, si risposa con Paola, ha una figlia, Luna, che oggi ha 26 anni. Non smette un istante di tenere contatti coi vecchi compagni e coi rifugiati che s’è ritrovato qua. Conta su amici di rilievo della politica e del governo, della musica e della cultura. Per lui si battono il già citato Fernando Gabeira dei Verdi (che quando la primula Battisti era ricercata in Brasile la incontrava segretamente in un bar di Ipanema), il segretario comunale di urbanistica, Alfredo Sirkis, Chico Alecar del P-sol, il deputato lulista Carlos Minc, il senatore del Pt Eduardo Suplicy e tanti altri. Solo per citarne alcuni. Altri vengono compulsati in occasione della visita di Toni Negri a Rio - ospite neanche a dirlo a casa di Mancini - conclusasi con una petizione a favore di Battisti, rilanciata al forum terzomondista di Belem. Portabandiera del Carp insieme al ristoratore di Prima Linea, Luciano Pessina (di cui abbiamo scritto ieri), il produttore di Botafogo non fa mancare il suo appoggio all’ultimo terrorista rosso recluso.


«Siamo profondamente impegnati contro l’estradizione di Cesare Battisti – è il suo gingle propagandistico - la soluzione più indicata per porre fine alla repressione e persecuzione di un’intera generazione di militanti degli anni ’70 in Italia è l’amnistia. E comunque non lo faremo mai tornare». E se lo dice lui, che parla al plurale con tutte le amicizie che ha, c’è poco di che essere speranzosi.
(2. Continua)

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