nostro inviato a Rio de Janeiro
Scarsi cento chilometri da Rio de Janeiro, percorrendo l’itinerario che squarcia in due le foreste della Serra dos Organos, si arriva nella «città imperiale» del Brasile dove una vita fa ha trovato rifugio e lavoro un ex comunista latitante che ha saldato il suo debito con la giustizia scappandosene a processi in corso. A Petropolis, e più precisamente presso la Sierra Cooperativa Restauratori, rintracciamo un incredulo Carlo Pagani, noto solo come «professor Pagani», insegnante all’università di Rio per la facoltà di restauro di opere di legno antico. Milanese, classe ’53, il docente dalla foto segnaletica ormai ingiallita per imprese criminali che risalgono a più di trent’anni fa, s’è ritagliato una vita di terza fila, lontana dai riflettori, ufficialmente lontana anche dai compagni del Comitato d’appoggio ai rifugiati politici schierati per Battisti che qualche anno fa lo convinsero a dare il suo contributo alla compagnia dell’Ulivo carioca denominata «Viva l’Italia». La denuncia della «lista degli assassini», come incautamente la definì l’autore dello scoop Gianluigi Ferretti, fece conoscere Pagani al mondo. Lo votarono in 300: trombato. Sarà per questo che al professore per poco non saltano le coronarie quando mostriamo il biglietto da visita.
«No, guardate, di Cesare Battisti non intendo parlare col Giornale, non voglio fare alcuna dichiarazione, non mi interessa l’argomento». Ma lei l’ha conosciuto Battisti quand’era latitante in Brasile? (silenzio). Lei è amico del ristoratore Pessina, l’ex di Prima linea che difende Battisti...(silenzio).
Non parla più, Pagani. Preferisce ripiombare nell’oblio in cui da vent’anni trova conforto e riparo. Eppure la materia dovrebbe conoscerla se non altro perché pure lui, come gli altri compagneros naturalizzati, ha qualcosa da farsi perdonare: rapina, detenzione e porto illegale di armi, furto, violazione di domicilio e quant’altro, reati che gli sono costati una condanna a quasi 4 anni, mai scontata perché sanata dal tempo trascorso liberamente in Brasile. I report dell’Antiterrorismo classificano il professore nell’area dell’Autonomia operaia ma lui, ascoltato in tribunale nemmeno un anno fa, precisa che i suoi sono peccati di gioventù non ascrivibili a sigle particolari: «È vero, ho avuto una condanna per rapina, poi il reato è stato prescritto nel 2000. (...). Se mi sono presentato alle elezioni è solo per fare un po’ di volontariato». Quanto ai precedenti penali «beh, io non sono stato membro di gruppi tanto è che le mie condanne non sono state per banda armata o associazioni sovversive ma per armi e rapina. Da studente ho partecipato a manifestazioni di questo tipo, eccetera, con organizzazioni di tipo studentesco, Lotta continua, eccetera eccetera».
A forza di eccetera eccetera Pagani non convince quando giura di essere stato all’oscuro delle presenza del mostro del rogo di Primavalle, Achille Lollo, o dello stesso Pessina, nella lista di Prodi. E comunque. Dal 2 marzo 2000 Pagani è uomo da considerarsi libero da ogni pendenza. Il professore di restauro, pur essendo un’autorità in materia, a sentire gli amici fa poca vita di società. Più che discreto, un fantasma. All’università le poche indiscrezioni su quel passato non espiato sono state prese così e così: «Il mio dirigente – confessa Pagani al giudice che lo interroga - non mi ha chiesto niente, certo però, tra di noi, la coordinatrice che era di origine italiana, aveva la mamma che era stata candidata anche lei per i comitati degli italiani all’estero, beh, quindi, allora io per evitare che vi fossero dei problemi ho voluto anticipare la spiegazione, così mi è successo anche con qualche alunno». Alle nuove leve, in aula e nella pausa pranzo in ateneo, il professore ha sempre voluto dare di sé un’immagine rassicurante, lineare, pulita. Nessun riferimento agli anni di piombo. Poi, vedi la sfortuna, nel marzo 2004 dal cielo è piovuto lo scandalo-bomba della lista carioca dell’Ulivo: la figlia in lacrime per i commenti spietati dei compagni di classe, la moglie direttrice dell’istituto delle foreste brasiliane che ha preteso chiarimenti approfonditi. Da qui la decisione di eclissarsi anche online. «Il problema, signor giudice, sono i miei studenti, perché io pubblico, ho pubblicato su internet alcuni lavori. Quindi tutte le volte che vogliono fare ricerca sui lavori di restauro cercano quello che il professore dice, per cui a quel punto ho deciso di ridurre la mia partecipazione su internet, con pubblicazioni, cosa che da questo punto di vista mi ha...» nuociuto non poco.
(3.Continua)
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