Cultura e Spettacoli

Bravo Donadoni, il frate-spia pensato da Scaglia

Enrico Groppali

da San Miniato (Pisa)

A Gerusalemme c’è un archeologo che veste l’abito talare dei Francescani. Ha scoperto i mosaici del Monte Nebo, e crede di contribuire alla pace nella città delle tre religioni dove la parola di Dio è bandita dalla più cieca violenza. Ma un giorno a quell’uomo viene imposto di rinunciare al compito cui ha dedicato la vita e di dedicarsi, invece, a un progetto talmente pericoloso da non potergli essere interamente svelato. Nel frattempo, dovrà prendere contatti sia con uno sceicco, che i francescani ritengono detentore di un terribile segreto, sia con un alto esponente del controspionaggio israeliano. Quest’ultimo gli confida che la sua collaborazione è indispensabile alla causa della pace per cui tanto si adopera l’Ordine che ha abbracciato: lui solo che ha conosciuto una cantante che si sospetta legata a un terrorista, può convincere la donna, caduta in mano alla polizia di Tel Aviv, a svelargli il rifugio segreto del suo amante…
Comincia così, in un clima che ricorda le atmosfere quasi impalpabili dei thriller di Graham Greene, Il custode dell'acqua, il dramma che Sergio Pierattini e Marzia G.Lea Pacella hanno tratto dal romanzo di Franco Scaglia. Che, in un tessuto di piste cifrate degne di Le Carré e di occulti rimandi alla favola filosofica, ci conduce per mano in un processo d’identificazione col protagonista al centro della diaspora e alle insanabili origini di un conflitto che vede straziato, da ognuna delle parti in causa, il nome del Creatore. Perché nel complesso gioco di inganni e agnizioni che innervano l’asse portante del Mistero, nel Custode dell’acqua il Romanzo Gotico s’incrocia con l’appassionata dialettica delle fede. Compaiono infatti altre figure a complicare il puzzle: un Soldato d’Israele, ma di religione cattolica, che si rifiuta di combattere e la sua ragazza, ebrea, che progetta di unirsi a lui in matrimonio tutt’uno a un’altra coppia di fede opposta per testimoniare di fronte al mondo una volontà di pace che appare, ogni giorno, negata nei fatti. Mentre, sullo sfondo, si fa strada anche l’oggetto autentico della contesa: una mappa che, opportunamente decifrata, regalerà al fortunato che riesca nell’impresa addirittura il possesso dell’Arca dell’Alleanza. Che, in altri termini, significa l’investitura divina a occupare tutta la Palestina dirimendo l’insanabile conflitto tra arabi e israeliani. Come si evince da questo sommario riassunto, Il custode dell'acqua è un’opera di ampie dimensioni che non sempre il teatro riesce a decodificare con la necessaria scaltrezza, indispensabile in operazioni del genere. E qui veniamo al nodo quasi indissolubile su cui riposa il limite, come la grandezza, del palcoscenico che non si propone, come fa il cinema, di illustrare la situazione narrativa collocando l’uomo nel contesto del paesaggio, o dello sfondo, che gli compete. Per questo, nello spettacolo guidato con mano maestra da Maurizio Panici che illumina da cima a fondo il testo sorreggendolo nei continui andirivieni tra passato e presente grazie alla tecnica sofisticata delle proiezioni digitali e delle luci di taglio, finisce qua e là per fare difetto proprio l’afflato mistico che pervade il testo e ne determina il fascino. Fatta salva l’ottima prova di un cast di rara intelligenza scenica dove, accanto al doloroso umanissimo Carlo Simoni, Maurizio Donadoni commuove e persuade con l’autorità dell’autentico protagonista.

IL CUSTODE DELL’ACQUA - dal romanzo di Franco Scaglia Regia di Maurizio Panici, con Maurizio Donadoni.

San Miniato, Festa del Teatro, fino al 9 agosto.

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