Bravo Ha un’arma in più Solo lui sa come svegliare le sue squadre dal sonno

L’arbitro non c’entra: ripetiamolo subito per evitare che il «piangina» Malesani possa contagiare il dibattito sulla fortuna dell’Inter e di José Mourinho. È vero, il fallo fischiato a Brandao su Samuel è di quelli che passerebbero inosservati in Inghilterra e dintorni e che nessun arbitro di Champions avrebbe cura di segnalare, ma non è questo il punto. Qui discutiamo e proviamo ad analizzare il comportamento dell’Inter tutte le volte che è vicino al baratro e sta per scivolare nel precipizio: c’è una rivolta rabbiosa che accompagna e punteggia le rimonte firmate dall’armata morattiana nella stagione.
Sorvoliamo, infatti, sulle mosse del tecnico portoghese: quel Samuel, al pari di Materazzi in altre cento occasioni, spedito in avanti e capace di fare un gol (e che gol, quello del 4 a 3) alla Batistuta, è un po’ retaggio di calcio paesano e rievoca altre variazioni dello stesso registro (per esempio Ambrosini in Milan-Ajax Champions del 2003). Qui siamo interessati solo alla reazione feroce dell’Inter nei minuti finali della sfida col Siena, quando era sotto di un gol e rischiava di riaprire il campionato, proprio al giro di boa. Mourinho è stato il primo, forse anche l’unico, in panchina a trasferire al gruppo la sua voglia matta di ribaltone. È arrivato al punto di invadere il campo (e qui il quarto uomo avrebbe dovuto segnalare l’inadempienza all’arbitro Peruzzo, ma è stato «distratto» da una mirabile mossa di Beppe Baresi, ndr) per trasferire ai suoi il messaggio simbolico. Ha lasciato davanti, a far coppia con gli attaccanti di mestiere, anche Samuel come era già successo con Lucio a Kiev. Questo non è banale né sfacciato colpo di fortuna, è un disperato tentativo di afferrare per il bavero il destino e piegarlo al proprio volere. Chi rispetta l’ortodossia tattica, a volte si arrende prima del tempo.
Nel primo semestre della stagione, le rimonte interiste hanno numeri significativi. Se ne possono rammentare 4 in campionato, col Cagliari, con la Roma e col Siena per tacere del successo finale ottenuto (su rigore) contro la Fiorentina, e altre tre nella Champions, due volte con la Dinamo Kiev e una volta col Karzan. Sono sette i casi di scuola per poter essere spiegati con la protezione degli dei del pallone. Se si indaga poi nella carriera di Mourinho, si può ricostruire una striscia lunga dieci anni di imbattibilità domestica, cominciata col Porto, proseguita con il Chelsea, e impreziosita con i primi diciotto mesi di lavoro ad Appiano Gentile.

Dieci anni senza mai perdere in casa, è un dato che può convincere anche gli scettici, quelli che celebrano il Mourinho predicatore e scorticano vivo il Mourinho allenatore. Certo, poi tornerà la Champions, verrà il duello con Ancelotti e il dibattito conoscerà un’altra puntata.

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