Garmisch PartenkirchenAcora una medaglia, la sesta per l'Italia in cinque discipline diverse, la quinta per gli uomini che partono da Garmisch da squadra numero 1, con un oro, un argento e tre bronzi, l'ultimo vinto ieri in slalom da Manfred Moelgg. La fame vien mangiando e se ieri la medaglia non fosse arrivata avremmo anche avuto il coraggio di partire delusi, perché dopo i proclami della vigilia e soprattutto dopo che Moelgg aveva pescato il numero 1, quello vincente nei due giganti e anche nello slalom femminile, sembrava che il podio non potesse sfuggire. Salirci, poi, era tutta un'altra storia.
Giornata umida e nebbiosa, la pista sta assieme solo grazie ai prodotti chimici, ma quello semmai può essere un problema per gli altri, non per Moelgg e nemmeno per Grange, numero 1 al mondo e 2 di pettorale, subito un buon punto di riferimento per Manfred, sceso molto bene e dietro al francese per appena 22/100. Una bella ipoteca sul podio finale, tanto più che dietro gli altri sono già lontani, fra loro purtroppo anche gli altri azzurri, da Razzoli a Deville a Gross, il primo fuori ritmo dalla prima all'ultima porta, il secondo che «non ci ho capito un cavolo», il terzo frenato da un brutto errore e addirittura uscito dai 30.
Ma di certezze, in slalom, non ne esistono. E allora c'è un po' di tensione prima della seconda manche, perché la pista non promette nulla di buono e partire per 29° non sarà certo un vantaggio. Inoltre, come sempre in slalom e soprattutto a un mondiale dove contano solo i primi tre, da dietro ci sono molti atleti pronti a giocarsi il tutto per tutto. A provarci sono in tanti, a riuscirci solo uno, quel Jens Byggmark che quattro anni fa era sembrato il nuovo profeta dello slalom e che invece si era poi perso completamente, finendo oltre la sessantesima posizione mondiale, non riuscendo più a finire una manche. Sembrava finito, è risorto a fine gennaio a Schladming conquistandosi il posto nel quartetto svedese e ieri, senza nulla da perdere, ha fatto paura persino a Grange nonostante il suo pettorale alto, il 18.
C'era lui in testa quando al cancelletto si è presentato Manfred Moelgg, tranquillo, fiducioso, forte di allenamenti velocissimi e per nulla condizionato dal flop in gigante, dopo il quale aveva detto «basta musi, niente drammi, è solo una gara andata male!». Voltata pagina, eccolo pronto. Qualche metro dietro, nervosissimo, c'è il fratellino Michael, da quest'inverno suo skiman, e giù, nella tribuna dei tifosi, c'è Manuela, rimasta per vedere se questi Moelgg riusciranno a portarsi a casa almeno una medaglia.
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