Brunetta: "Elettori leghisti egoisti"

Lo sfogo del ministro dopo la sconfitta a Venezia: "In città è mancato l’8% dei consensi leghisti". Frattini: "Renato sbagli"

Brunetta: "Elettori leghisti egoisti"

Roma - Un elettorato leghista «miope» ed «egoista», che si distrae quando non c’è un candidato di bandiera, è un problema per tutta la coalizione, ma anche per la Lega Nord. Renato Brunetta non abbassa la guardia e, nonostante le rassicurazioni del vertice leghista, chiede un chiarimento, per capire cosa significhi la sua mancata elezione a sindaco di Venezia.

Deluso dal risultato?
«C’è sicuramente amarezza, ma solo per metà è dovuta al non essere stato eletto sindaco di Venezia. L’altro 50 per cento è preoccupazione per la coalizione».

Cosa è successo?
«La spiegazione è molto semplice. Tra il voto per la Regione Veneto e quello per il Comune di Venezia sono mancati otto punti percentuali alla Lega Nord. Se io avessi avuto questi voti, più quelli della mia lista che ha fatto il 6,6, avrei vinto al primo turno».

Venezia è una piazza difficile. Una città di sinistra.
«È una città dove storicamente la Lega è più bassa, ma resta significativa. E passare, nella stessa elezione, da un 19 per cento all’11 per cento, con un candidato sindaco come il sottoscritto, è una cosa difficile da capire».

Un complotto?
«No, un problema di cultura di coalizione. Quella della Lega è semplice: se il candidato è loro fanno il pieno di voti, se non è loro, si distraggono. È successo altre volte, due anni fa a Vicenza con Lia Sartori, in queste elezioni a Portogruaro per il sindaco».

Se non c’è complotto, non c’è problema politico...

«Sbagliato. Questa cultura di coalizione va contro gli stessi dirigenti leghisti, visto che la mia candidatura era stata lanciata da Roberto Calderoli e Luca Zaia. Il problema è che c’è un elettorato educato alla miopia egoistica. Ed è pericoloso per tutti».

Perché?
«Faccio un esempio. A queste condizioni, d’ora in avanti, chi accetterà mai di candidarsi dove è determinante la Lega? Altro esempio. E se Bossi, tra dieci anni, si volesse candidare a Milano e dovesse succedergli quello che è successo a Venezia; cioè se tra le regionali e le comunali il Pdl lasciasse per strada il 50 per cento dei suoi voti, quale sarebbe la sua reazione?».

Anche Castelli ha perso ed è un leghista.
«Quella è un’altra storia. Problemi interni alla Lega e di rapporti tra Lega e Pdl. A Venezia non c’erano problemi né nella Lega, né tra i due partiti. Poi, attenzione, la sinistra ha perso dieci punti anche nella rossa, assistita, impaurita Venezia. Questa volta c’era veramente la possibilità di voltare pagina e fare filotto».

Si è chiarito con qualcuno della Lega?
«No, anche perché i dirigenti locali della Lega non hanno avuto il coraggio di chiamarmi (ride). Ho parlato con Zaia, con il quale c’è stima e affetto e con Calderoli. E penso siano i primi a essere preoccupati».

Possibile che i veneziani non abbiano voluto un sindaco-ministro?
«Questi problemi li ha sollevati la sinistra, ad esempio anche con la presidente leghista della Provincia di Venezia, che è anche sindaco. Lei ha sostenuto che avrebbe fatto meglio entrambe le cose e aveva ragione. A lei è andata bene».

Nel suo caso invece ha pesato...
«Guardi, sono talmente contento per come è andato il voto in tutta Italia, con la mia amica Polverini, con Cota, che faccio questo ragionamento. Se questa alleanza è destinata a durare, come io penso, a cambiare l’Italia con le riforme, come io penso, come è possibile che ci siano incrinature come queste, che sono sempre più numerose? Si impone un chiarimento politico nell’interesse della stessa Lega. Io credo nel valore rivoluzionario dell’alleanza tra Pdl e Carroccio e per questo non penso possano più esistere logiche unilaterali tra noi».

La Lega voleva un proprio candidato a Venezia?
«Ma no. In Regione si stava rafforzando l’ipotesi di Zaia e nessuno pensava ad un altro candidato. Difatti, il primo a pensare a me è stato Calderoli».

I veneziani non volevano Brunetta?

«Difficile sostenere una tesi come questa. Un veneziano doc, che ha vissuto e studiato a Venezia e ora fa il ministro. Ero forse uno dei migliori candidati possibili per la coalizione, non era un’impresa facile, ma il mio era il nome giusto anche se fosse stata una missione impossibile».

Ha detto che serve un chiarimento. Di che tipo?
«Bisogna capire come rimediare. Intanto vedere i flussi, fare i conti. Cosa che sto facendo. Non è possibile dire che non è accaduto. Una coalizione in questi casi si interroga, senza demonizzare nessuno. È anche nell’interesse della Lega».

Queste elezioni sono state vinte dal centrodestra. Cosa deve fare il governo secondo lei?
«Siamo l’unico Paese al mondo che ha confermato il governo nelle elezioni di medio termine. Abbiamo vinto nonostante le pugnalate che sono arrivate al governo e al premier. Ora bisogna attuare il programma.

Fare le riforme e attuare quelle approvate. Il presidenzialismo, abolire le Province, il federalismo. Si può partire dalle riforme che non costano e poi, man mano che la ripresa si fa sentire, fare anche quelle che costano, in primo luogo quella fiscale».

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