BRUNO ZANONI «La mia vittoria fu arrivare ultimo»

Il bergamasco fu il fanalino del Giro nel ’79. E da quest’anno si tornerà ad assegnare il «numero nero»

In quel Giro d’Italia del ’79 è stato popolare come Saronni, lento come nessuno. «Andare piano mi veniva naturale, e francamente posso solo dire che è stata anche la mia fortuna».
Bruno Zanoni, bergamasco di Nembro, classe ’52, è l’ultima maglia nera del ciclismo che torna prepotentemente d’attualità grazie a Rcs Sport, che quest’anno ha deciso di riproporre al Giro un premio riservato agli ultimi. Nessuna maglia, perché il regolamento non lo consente (solo quattro e ci sono già quelle rosa, bianca, ciclamino e verde, ndr), ma un numero bianco su fondo nero che identifichi ogni giorno il più lento di tutti.
«Ricordo che a mamma Speranza quella maglia non piaceva per niente – racconta Zanoni, che nel ’79 lottò a suon di colpi di freno con Porrini e Rosola, tanto da giungere a tre ore da Saronni -. Non accettava che io fossi bollato come il bradipo del gruppo e mi ripeteva di continuo: “essere ultimi non è una bella cosa, è come vantarsi di essere il più asino della scuola”… Poi vide che riservavano a me le stesse attenzioni che i giornalisti riservavano alla maglia rosa Saronni. I titoli dei giornali erano quasi tutti per Beppe, ma il sottoscritto era dopo di lui il più gettonato, il più intervistato e applaudito. Tanto è vero che quello che doveva essere un esperimento, durò solo una Primavera. Ricordo che tre giorni dopo la conclusione della corsa rosa, alla vigilia della Gran Fondo Milano-Roma, mi vennero a dire che la maglia nera non sarebbe stata più riproposta. Ufficialmente perché i corridori non volevano più essere messi al pubblico ludibrio, la verità è che agli sponsor più importanti e influenti quell’idea proprio non era piaciuta. Cosa c’era che non andava? Avevano constatato che Zanoni e la mia maglia nera avevano avuto troppa visibilità».
La maglia nera viene proposta per la prima volta nell’immediato dopoguerra. Sono gli anni del leggendario Malabrocca, ultimo nel ’46, nel Giro della sopravvivenza e della rinascita, a 4 ore da Gino Bartali. Ultimo anche l’anno successivo, a quasi sei ore da Fausto Coppi e probabilmente se l’avesse corso sarebbe stato ultimo anche nel ’48. Mentre nel ’49 fu “beffato” da tal Sante Carollo. L’ultima maglia nera fu quella di Giovanni «Nane» Pinarello, nel 1951, ma venne riproposta appunto nel’79, per dare un segno di riconoscimento alla «sconcia fatica dei gregari».
«Ero caduto nelle prime tappe, al Sud, non avevo speranze di fare bella figura – ricorda Zanoni, sei anni da professionista, una vittoria in carriera (tappa di Assisi al Giro del ’78, ndr), oggi organizzatore del Trofeo Laigueglia, e in Riviera ci vive da trent’anni, dove gestisce con la moglie e i due figli un hotel a quattro stelle -. Così non mi persi d’animo e pensai a mantenere la posizione: laggiù in fondo, dove più in fondo non si può. Arrivai 111°, ultimissimo ad oltre 3 ore dal primo e quella fu per me una fortuna. Allora l’ultimo in classifica guadagnava 30 mila lire al giorno e se arrivavi a Milano primo nella classifica riservata agli ultimi c’era un bonus finale di mezzo milione che, trent’anni fa, erano davvero tanti soldi (era uno stipendio medio di un impiegato, ndr). Ero popolarissimo. Ricordo che a fine Giro fui invitato da tutte le parti, anche da Raffaella Carrà e Mike Buongiorno, e partecipai a tantissimi circuiti. Per darvi un’idea: Saronni e Moser, che erano le star, ne corsero 33. Io 31, due in più di Baronchelli e venti in più del mio capitano Roberto Visentini, che in quel Giro arrivò decimo. E’ vero, in gruppo c’erano gli sfottò e qualche malumore, ma io posso solo ringraziare quella maglia: mi diede popolarità e qualche soldo in più. Guadagnavo 250 mila lire a circuito, quella Primavera fu per me magica e molto redditizia, tanto è vero che a fine stagione decisi di smettere. Avevo solo 27 anni, ma sapevo di aver ottenuto il massimo con il minimo del mio talento. Sono stato il più “lento di successo”.

Mi ero stufato di portare acqua ai capitani e fare per loro “il cameriere”. Ho preferito dedicarmi all’hotel di mia moglie. I miei soldi li ho messi lì. Oggi sono alla reception e accolgo volentieri tutti: anche gli ultimi».

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