Bruxelles alza le stime sull’Italia ma si dimentica del «sommerso»

C’è anche l’Italia tra i Paesi che beneficiano del rialzo delle stime di crescita 2010 da parte della Commissione europea, con un +1,1% che corregge l’espansione dello 0,8% prevista lo scorso maggio. La notizia è positiva, anche se il passo tenuto dalla penisola è più lento rispetto alla media (+1,8% dal +0,8% di quattro mesi fa) e nettamente inferiore al ritmo della Germania, comunque talmente inatteso da costringere i tecnici di Bruxelles a quasi triplicare l’outlook tedesco dal +1,2 al 3,4%.
La minore accelerazione italiana viene così spiegata da Olli Rehn, commissario europeo agli Affari economici e monetari: «L’Italia sta beneficiando meno degli altri Paesi della ripresa della domanda globale. Ciò è dovuto probabilmente a una inferiore quota di esportazioni verso le economie emergenti così come alla sua perdita di competitività salariale nel corso dell’ultimo decennio». Rehn ha una sua ricetta per evitare che l’Italia perda ulteriormente competitività e ritrovi slancio: nel breve periodo occorre moderazione salariale, un tema caro anche al leader della Bce, Jean-Claude Trichet, ma a lungo termine solo significativi aumenti nella produttività e nell’occupazione ci permetterebbero di aumentare la crescita potenziale.
Rehn non ha del tutto torto. Dimentica tuttavia quello straordinario sottrattore di competitività, come ebbe modo di sottolineare lo scorso anno il governatore di Bankitalia Mario Draghi, che è l’economia sommersa. In Europa, l’Italia occupa un poco invidiabile secondo posto alle spalle della Grecia nella classifica dell’altrimenti chiamata economia parallela, clandestina od ombra. Non consola il fatto che negli ultimi 30 anni il fenomeno si sia diffuso a macchia d’olio in buona parte delle aree più industrializzate del mondo. Anche perché, in base agli ultimi dati Istat, sul nostro territorio il sommerso vale tra i 255 e i 275 miliardi di euro. Con un peso tutt’altro che trascurabile, essendo compreso tra il 16,3% e il 17,5% del Pil (nel 2000 era tra 18,2 e 19,1%). E se si considera la sola economia di mercato, l’economia ombra rappresenta il 20,6% del Pil.
Si tratta quindi di un fiume di denaro che, ovviamente, non viene inglobato nelle statistiche sulla ricchezza complessiva e che, altrettanto ovviamente, rappresenta un danno enorme non solo per la finanza pubblica a causa dell’imponibile che sfugge alla tassazione e al prelievo contributivo, ma anche per la stabilità dell’intera economia nazionale. Gli imprenditori irregolari sono circa 640mila. La maggior parte dei quali attua l’evasione attraverso la sottodichiarazione del fatturato, gonfiando i costi sostenuti nel processo di produzione del reddito, fino a nascondere del tutto la filiera produttiva.

L’Istat indica che a livello settoriale l’evasione fiscale e contributiva è più diffusa nei settori dell’agricoltura e dei servizi, ma è rilevante anche nell’industria. Segno di una presenza capillare e pericolosa in tutti i segmenti della vita economica.

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