Economia

Bruxelles, nuovo alt al tessile cinese

Rodolfo Parietti

da Milano

Bloccate alle dogane europee: è questo il destino riservato alle camicette da donna di provenienza cinese dopo che, nella notte di giovedì, sono stati superati i limiti d’importazione previsti dall’intesa sottoscritta lo scorso 10 giugno tra Bruxelles e Pechino. Blocco inevitabile, che non mancherà di alimentare la contrapposizione tra i Paesi Ue (Italia, Francia e Spagna) decisi a difendere attraverso l’arma del contingentamento l’industria tessile nazionale, e le nazioni del Nord (dall’Olanda alla Danimarca, dalla Svezia alla Finlandia e anche la Germania) che temono ripercussioni sulle aziende, in particolare quelle della grande distribuzione. In attesa di una soluzione, probabilmente di compromesso, che non potrà comunque essere presa prima della prossima settimana.
Il divieto di sbarco scattato già nei giorni scorsi in molti porti del Vecchio continente per altri due prodotti cinesi (maglioni e pantaloni di cotone) aveva dato il via alla disputa tra gli Stati membri, al punto da indurre la Commissione a intervenire con una proposta conciliatrice. Ai maglioni cinesi (e forse anche ad altri prodotti che hanno raggiunto il tetto delle importazioni) verrebbe accordato uno sforamento della quota assegnata per quest’anno utilizzando parte delle importazioni consentite nel 2006.
Il problema quote rischia tuttavia di non restare limitato solo a bluse, pantaloni e pullover: con le prossime consegne, il cartellino rosso potrebbe infatti essere mostrato anche a magliette, reggiseni e filati di lino cinesi, le cui esportazioni oscillano già tra il 97,8 e il 99,9%% rispetto al limite massimo consentito. Più tranquilla è invece la situazione, almeno per ora, di altre quattro categorie incluse nell’intesa: tovaglie e tovaglioli, abiti femminili, lenzuola e stoffe di cotone. Non è quindi da escludere che il Comitato tessile dell’Ue, chiamato a pronunciarsi la prossima settimana, scelga di trasferire parte delle quote riservate agli articoli meno sotto pressione ai prodotti già «extra-quota».
In ogni caso, chi sarà chiamato a decidere rischia di adottare misure impopolari. Con una lettera spedita l’altroieri a Bruxelles, i ministri del Commercio finlandese, olandese e svedese hanno chiesto di rivedere il sistema delle quote e di non estenderlo ai prodotti per i quali sono già stati firmati dei contratti con le società europee. Secondo alcune fonti, alcune aziende europee della grande distribuzione stanno avendo problemi di approvvigionamento a causa dei prodotti cinesi - peraltro già pagati - fermi in dogana. Nella lettera, i quattro ministri equiparavano il sistema di quote a «un suicidio economico». E ricordavano come molte imprese, soprattutto quelle coinvolte nella produzione dei beni che importano, rischiano il fallimento.

Con la conseguenza di spedire a casa migliaia di lavoratori.

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