Gli piaceva fotografare nuda una diciassettenne coreana, che già viveva con lui avendola adottata insieme alla sua splendida moglie, Mia Farrow, donna di classe e brava attrice. Per questo Woody Allen, sposato con Soon-Yi, nel 1992 pietra duno scandalo internazionale, sguazza come un pesce nelle vicende boccaccesche (però Boccaccio è unaltra cosa) ora al centro del suo film romano, Bop Decameron. E non cè sampietrino della capitale, né pizzaiolo o pizzardone, ma neanche attrice o attore sul Tevere, per tacere delle mezze figure contattate al volo, che non abbia visto il regista catturare qualche scorcio del Palatino, un arco ai Fori, qualche fontana del Bernini, magari. Una di quelle cartoline già spedite da Londra con Match Point, da Barcellona con Vicky Cristina Barcelona, da Parigi con Midnight in Paris e adesso in preparazione nella Città Eterna.
«Con ogni città nasce una storia damore diversa», spiega Woody, novello Cesaroni. E però noi sappiamo che lui, da New York, viene a girare nella cara, vecchia Europa per due motivi: costa meno e rende di più. Agli americani la storiaccia del «feeling paterno» per Soon-Yi, come dichiarò Allen a Vanity Fair, non è andata giù e da lì in poi per Woody è iniziata la caduta libera verso loblio a stelle e strisce e, quel che più conta, verso il botteghino comatoso. Eccolo quindi trasformato in filmmaker indipendente, che reclamizza un ristorante a Piazza del Popolo, dove va a farsi due bucatini allamatriciana, o una sfilata di intimo allAra Pacis, o lalbergo ai Parioli dove si ritira, la sera, come un pensionato che ne ha fatte troppe. Il set? «Blindato. Blindatissimo», dicono gli agenti di Ornella Muti, Isabella Ferrari, Daniela Mastronardi, Roberto Benigni, Sergio Rubini, Antonio Albanese, ingaggiati dal filmmaker come fagiolini di contorno alle bistecche americane Alec Baldwin, Jesse Eisenberg (sì, quello di Facebook), Ellen Page, la formidabile ragazzina di Juno, film di culto antiabortista. Quanto a Penelope Cruz, oscarizzata con Vicky Cristina Barcelona, lei, maritata Javier Bardem, è in quota latinoamericana e i paparazzi la fotografano strizzata nellabitino rosso, buono a evidenziare curve generose da neomamma. Il set, si diceva. «Blindato. Blindatissimo». Eppure invaso dai paparazzi che, oltre a essere entrati in alcune scene come comparse, stanno pure fotografando minuto per minuto lo svolgimento delle riprese.
Il fatto è che Woody, nella città assolata e deserta, dove in parecchi fanno le «vacanze talpa» (stanno a casa, ma fingono dessere partiti), pare zio Michele di Avetrana, col cappelletto floscio da pescatore e landatura stracca di chi lavora fino alla tomba, per mantenere ex mogli e vari figli, chi naturale e chi adottivo (con Soon-Yi, Allen ha adottato Bechet e Mansie Tio, battezzati con nomi di musicisti jazz: Sidney Bechet e Mansie Johnson). Non se lo è filato più di tanto neanche il vigile di Piazza Venezia, laitante Pierluigi Marchionne, assoldato in pedana, mentre si sbracciava coreograficamente ed era giorno di sciopero dei mezzi. «Woody è passato e ha visto la simpatia con cui lavoro. Cerano sirene di ogni tipo, a rovinare tutto. Mi sono ispirato ad Alberto Sordi», ha dichiarato il pizzardone, notando che Woody aveva bloccato il traffico, causando un tamponamento.
Eppure, al Quirinale lartista settantacinquenne è stato subito ricevuto in pompa magna, lui in maniche di camicia e Napolitano ossequioso, con i corazzieri in alta montura e i cerimonieri in cimbali. Per la verità, la nobile gara ad accaparrarsi quel che resta di Woody ha visto in prima linea il sindaco Gianni Alemanno, lesto a donargli la statuetta della Lupa in Campidoglio.
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