Bufala, vendite già crollate del 24%

Arrivano gli effetti del caos campano: sono a rischio 30mila euro al giorno. Nel capoluogo il 67% delle attività, Francia e Svizzera i maggiori mercati

I rifiuti tossici seppelliti senza tanti complimenti in Campania hanno «avvelenato» anche i formaggi lombardi. Spaventati dalle notizie sulla diossina ritrovata nelle mozzarella di bufala, i consumatori milanesi hanno smesso di comprare anche i prodotti locali. Nonostante le rassicurazioni dei commercianti, le vendite sono calate del 24 per cento, mettendo in crisi un settore da 11 milioni di euro all’anno.
L’allarme arriva dalla Camera di commercio milanese che comunque precisa come - insieme ai dati negativi delle ultime settimane - stanno anche arrivando i primi timidi segni di risveglio del settore. Una preoccupazione facilmente comprensibile, visto che il lattiero caseario in Lombardia è un comparto che esporta 735 milioni di euro all’anno, il 40 per cento dell’intero export nazionale.
In particolare, sono oltre 60 le imprese milanesi del settore, dato che proietta la provincia al primo posto in Lombardia per numero di imprese sia dell’industria lattiero casearia e del trattamento igienico del latte (un quinto del totale lombardo) sia per le tradizionali «latterie» (circa il 68 per cento delle attività di commercio al dettaglio di latte e prodotti lattiero caseari).
Nel 2007 l’export dei prodotti milanesi ha superato i 111 milioni di euro all’anno sui 735 della Lombardia e i 1.724 dell’intero Paese. Prodotti che prendono soprattutto la strada dei mercati svizzeri, dove finiscono formaggi e gelati per ben 28 milioni di euro all’anno. La Confederazione elvetica è seguita dalla Francia, con 26 milioni di euro all’anno, dalla Germania, 12 milioni, il Regno Unito, 7 milioni, e il Belgio, 5 milioni, Paesi Bassi, Giappone e Stati Uniti con oltre 4 milioni.
In questo contesto si inserisce dunque la lavorazione delle mozzarelle, che rappresentano, all’interno del settore, circa il 10 per cento del totale, vale a dire 11 milioni di euro all’anno, 30mila al giorno. E con le notizie arrivate dalla Campania di uno smaltimento selvaggio di rifiuti altamente inquinanti a ridosso delle aree di pascolo riservate a bovini e ovini, il settore è andato rapidamente in crisi. Molti Paesi, come la Cora e il Giappone, hanno inizialmente reagito arrivando a chiudere i loro mercati alle importazioni campane. Ma c’è stato un effetto a «cascata» anche sui consumi di prodotti «nostrani». L’effetto panico ha fatto registrare un progressivo rifiuto da parte dei consumatori che ha portato a un preoccupante 24 per cento in meno delle vendite. Nonostante le rassicurazioni dei commercianti che hanno cercato di mettere in evidenza le certificazioni sanitarie e di provenienza del prodotto.

Lo sforzo ha ottenuto un effetto limitato sul consumatore che, soprattutto nei primi giorni in cui è esploso il caso, ha preferito orientarsi su altri prodotti caseari non «a pasta filata». Poi, sempre in base ai dati pervenuti alla Camera di Commercio, sembra si stia assistendo a una timida inversione di tendenza, che avrebbe portato a un lenta risalita dei consumi.

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