A Madrid non c'è il mare. Ma Javier Goyeneche, fondatore di Ecoalf, la prima azienda di moda che produce abiti e accessori, recuperando i rifiuti di plastica dal mare, la passione per navigare l'ha sempre avuta. Quarantacinque anni, imprenditore, figlio di una madre attivista ambientale, ha sempre fatto della ecosostenibilità una delle sue sfide. «Sì, è così - racconta -, anche se va detto che in Spagna, nel mio Paese, la direzione non è questa. La coscienza ambientale non è molto sviluppata. Zero...». Ma tant'è. Nel 2009 inizia il suo progetto industriale firmando un accordo con la comunità Valenciana, nel 2010 realizza la sua prima azienda di accessori e nel 2013 debutta con la prima collezione di abiti completamente ecologici con plastica riciclata al 100 per cento: «L'accordo che prevede che tutti i rifiuti plastici pescati in mare dai 170 pescherecci della flotta - spiega - vengano differenziati nelle strutture di recupero che abbiamo realizzato per ora in 11 porti della costa. Ma l'idea è quella di allargarci a tutto il Mediterraneo». Ogni anno nel mare che va dalla costa spagnola alle nostre, fino all'Africa vengono gettati 6 milioni di rifiuti, in gran parte plastica. Allora nasce l'idea di contribuire a far un po' di pulizia utilizzando il Pet per produrre abiti di moda: «È così, anche se il procedimento è un po' più complesso - spiega Goyneche -. Questo progetto nasce per recuperare le reti che i pescherecci quando non sono più adatte alla pesca abbandonano in mare. Sono reti enormi, anche di due chilometri. Nei fondi marini ci sono più o meno 650mila km di reti abbandonate. Costa troppo mandarle in discarica, quindi i pescatori le lasciano lì». Per Ecoalf invece le reti sono ottimo materiale per produrre i filati degli abiti: «Sì, per il nostro progetto è un'ottima materia prima - spiega -. Da una rete da pesca alla realizzazione di un capo di abbigliamento ci sono sette passaggi di produzione, da un bottiglia di plastica ne servono invece 17. Quindi il risparmio di acqua ed energia per la lavorazione è notevole».
La plastica ripescata in mare viene divisa dal resto della spazzatura già nei porti. Al progetto lavorano quattro fabbriche. In Corea vengono trattate e riciclate le reti da pesca, in Spagna i polimeri e i pneumatici recuperati in mare, in Portogallo vengono realizzate le colorazione dei filamenti che poi serviranno per gli abiti. «Per noi il problema vero è la qualità della plastica recuperata - aggiunge Goyeneche -. Per realizzare il filamento serve un prodotto che abbia la stessa qualità, che sia poco rovinato, che abbia lo stesso colore che ci permetta ottenere un polimero perfetto. Spesso i costi dei procedimenti sono elevati».
Ai clienti il messaggio arriva. «Per un abito, un giaccone, una t-shirt o delle scarpe realizzate in questo modo si è disposti anche a spendere qualcosa in più».
Negli Stati Uniti e in Giappone i clienti sono molto attratti da un prodotto ecosostenibile: «In Spagna meno - ammette -. In Italia qualcosa si muove, chi compra può essere anche affascinato dalla tua storia ma poi se una giacca o un impermeabile non gli piace e non è un oggetto di moda non lo compra».ARuz
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