Buoni solo a «calendarizzare»

Riguardo l’emergenza salari e costo della vita, sul quale il governo ci ha fatto una testa così, ieri il medesimo esecutivo ha deciso «una calendarizzazione degli incontri con i sindacati». Boom. Conferenza stampa di fine anno sul potere d’acquisto che crolla, migliaia di parole scritte sui giornali da ministri che vogliono la riduzione del peso fiscale sugli stipendi, scioperi minacciati, e un clima di emergenza, cosa portano? alla «calendarizzazione». Che probabilmente sul Devoto Oli neanche c’è. Si ha la maledetta impressione che il governo Prodi si nutra delle emergenze e grazie a esse giustifichi la tenuta delle sue diverse anime. Eppure qualche considerazione seria occorre farla.
1. Il tema fiscale è cruciale per il Paese. Una riduzione del peso del fisco, ma su tutti non solo sui lavoratori sindacalizzati, è uno dei pochi stimoli che il governo ha per dare una bottarella alla nostra economia. Sul versante dei lavoratori, essa permetterebbe un aumento del reddito disponibile e per questa via una crescita dei consumi. La Banca d’Italia ha appena sfornato uno studio secondo il quale un taglio dell’1 per cento delle tasse che gravano sul lavoro avrebbe un effetto positivo sul Pil fino allo 0,4 per cento. Con una crescita prevista sotto al 2%, si tratta di un incremento mica da ridere. Sul versante delle imprese, il taglio delle imposte, non a parità di gettito come avvenuto fino ad ora, darebbe loro una spinta nella competitività internazionale.
2. Ma le imposte non rappresentano l’unico freno. Tra il 2000 e il 2006 la produttività oraria media in Italia è calata dello 0,6 per cento, contro una crescita del 3,8 in Germania. A Berlino inoltre i salari per i dipendenti sono aumentati più che a Roma. Ciò vuol dire che il nostro sistema economico non si allarga, gira con il freno tirato, è grippato. I fattori che rendono più produttivo un sistema sono i progressi tecnici, il risparmio sui fattori immessi nella produzione o una maggiore efficienza complessiva. Tre buchi neri. Ecco perché non ha senso continuare a dire, come fa il ministro Ferrero e una parte forte del sindacato, che gli aumenti salariali debbono essere svincolati dagli incrementi di produttività. Ha ragione in questo il ministro Damiano a insistere nel legare più quattrini in busta paga ai lavoratori in funzione di una crescita della produttività in azienda.
3. Il corollario è che l’Italia può fare a meno del suo sindacato. O meglio può una volta per tutte gettare alle ortiche la pratica della concertazione introdotta nel 1993 con l’accordo Ciampi. È un totem di un mondo che non c’è più. Il patto per l’Italia «calendarizzato» ieri, ha il sapore di una di quelle vecchie foto di Gianni Agnelli in barca con i Kennedy. In bianco e nero, straordinarie per l’aria blasé che le circonda, ma che rappresentano un mondo di rapporti e amicizie che oggi non esistono più: finite, cancellate. Ma ancora perversamente suggestive, per chi ne coltiva il culto interessato. Ma insomma, a qualcuno dalle parti di Palazzo Chigi è venuto in mente di chiedere ai sindacati se qualche piccola responsabilità per i salari dei dipendenti che non crescono e per l’Italia che fa altrettanto non se la debbano assumere proprio loro?
4. La ragione d’esistenza e di interdizione fondamentale del blocco sindacale, e che il governo e conosce bene, è la capacità di mobilitazione e influenza su pensionati e dipendenti pubblici. In Italia si spendono ogni anno 150 miliardi di euro per pagare i loro stipendi, 4 punti percentuali di Pil in più di quanto avvenga in Germania.

Quattro dipendenti pubblici su cinque (si tratta di più di due milioni di travet) negli ultimi sei anni sono stati promossi: tutti fenomeni.
Nell’attesa di rinnovare, a nostre spese i loro contratti, il governo «calendarizza».

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