Alberto Pasolini Zanelli
da Washington
Non è stato un intervento politico. È stato - lo riconoscono anche alcuni fra i più decisi e coerenti avversari di George Bush - un cri de coeur. Il presidente degli Stati Uniti è sceso in campo di persona per una causa che potrà anche giovargli ma che in questo momento lo vede schierato con una minoranza: in appoggio allemendamento costituzionale presentato dai conservatori in Senato che dovrebbe sbarrare la strada per sempre al matrimonio fra omosessuali. Il dibattito nel Paese diventa sempre più serrato, si avvicina il momento del primo voto in Congresso, che si presenta incerto così come insicure sono le prospettive ulteriori anche nel caso di una approvazione.
I sondaggi indicano che lostilità dei cittadini americani al riconoscimento di una totale parità giuridica fra le unioni eterosessuali e quelle omosessuali è meno forte e decisa di quanto non lo fosse due anni fa, quando questo dibattito contribuì in modo sensibile o addirittura determinante alla rielezione di Bush. Secondo la Pew Research Center il «no» reciso è sceso dal 63 al 51 per cento e quanto alla proposta di emendamento costituzionale, che richiede un consenso dei due terzi, esso può disporre per ora di poco più della metà, con un 47 per cento di contrari.
Ma Bush non ha parlato, questa volta, da politico: ha affrontato una questione di principio. La sua platea era di «convinti»: gli attivisti conservatori da cui proviene liniziativa. Di qui il tono senza compromessi: «Il matrimonio è unistituzione fondamentale della nostra civiltà e non può e non deve essere ridefinito da degli attivisti in toga. Certamente ogni cittadino americano ha il diritto di essere rispettato e di vivere la sua vita come vuole: per questo la nostra è una società libera. Ma proprio per questo un emendamento costituzionale è il modo più democratico di dare una voce a tutti in questo dibattito e di proteggere, nello stesso tempo, il matrimonio».
Bush a questo punto si è accalorato: «Che è lunione fra un uomo e una donna, senza se né ma. Io sono fiero di sostenere questa visione. Si tratta della più antica e duratura e importante fra le istituzioni umane, che merita protezione. Lemendamento vuole stabilire soltanto questo. Non è vero che esso miri a ledere i diritti dei cittadini dei singoli Stati, come alcuni sostengono: mira semmai a restituire la sovranità agli Stati e ai cittadini portandola via dalle mani dei giudici che la affrontano secondo le loro impostazioni ideologiche. Tocca agli americani decidere su una questione come questa e non agli attivisti giudiziari, tribunali militanti. È quello che voi - ha detto Bush ai suoi interlocutori convocati nel Giardino delle Rose della Casa Bianca - volete e proponete e io sono fiero di essere con voi e di condividere le vostre idee».
Bush ha di nuovo spiegato il perché, rifacendosi alla «battaglia» in corso ormai da tre anni in seguito a una sentenza della Corte Suprema dello Stato del Massachusetts, che dichiarò anticostituzionale il divieto alle nozze gay sancito da una legge dello Stato. Da allora il terreno di scontro è diventato quello della politica, con una forte mobilitazione ideologica da ambo le parti. Ai sostenitori dellemendamento si oppone che se una clausola del genere venisse inserita nella Costituzione essa negherebbe agli omosessuali diritti riconosciuti agli altri cittadini e introdurrebbe così una discriminazione giuridica.
Contro questa interpretazione il presidente è intervenuto, coerentemente con quanto aveva fatto due anni fa ma stavolta senza un diretto interesse elettorale. Neanche il suo partito e il suo governo sono compatti in questo. Si è distanziato da lui il senatore repubblicano oggi più popolare, John McCain, favorevole a lasciare la decisione agli Stati e lo stesso vicepresidente Cheney, la cui figlia, Mary, è apertamente lesbica.
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