Bush non riesce a rianimare Wall Street

da Milano

Usa le stesse parole di Ben Bernanke, George W. Bush, nell’annunciare un piano di aiuti all’economia da 150 miliardi di dollari, che deve essere «rapido» e «temporaneo». Ma come giovedì il numero uno della Fed, anche il presidente Usa non riesce a persuadere Wall Street, né a rimuoverne i timori sempre più radicati di scivolamento dell’America verso l’imbuto della recessione.
Eppure, ieri, l’inquilino della Casa Bianca ha più volte cercato di essere convincente: sia quando ha rimarcato la «solidità dei fondamentali economici», sia quando ha solleticato le corde più sensibili degli americani, ricordando come il pacchetto di stimoli fiscali, pari all’1% del Pil, abbia l’obiettivo «di mettere più soldi in tasca ai cittadini», così da «consentire un aumento delle spese per i consumi», vero pilastro dell’economia a stelle e strisce, la cui tenuta è messa a dura prova dalla decelerazione provocata dalla crisi dei subprime e dal conseguente indebolimento del mercato del lavoro. È anche su questo versante, a rischio di ulteriori cedimenti ora che il tasso di disoccupazione è giunto al 5%, che il piano fa leva. Il segretario al Tesoro, Hank Paulson, incaricato da Bush di guidare i negoziati con il Congresso dove si spera in un accordo bipartisan, ha spiegato che grazie agli stimoli potrebbero essere creati 500mila nuovi posti di lavoro.
Lo sforzo economico prospettato dal presidente americano dovrebbe essere superiore a quello compiuto nel 2001 per effettuare l’inversione a U dalla crisi: alcuni indiscrezioni indicano in 800 dollari i rimborsi per i privati, contro i 300 circa di sette anni fa. A queste misure dovrebbero aggiungersi i tagli fiscali approvati nel 2001 e nel 2003, che Bush ha chiesto di rendere permanenti, mentre ancora da definire sarebbero le detrazioni concesse alle imprese. Che comunque ci saranno per garantire «nel corso di quest’anno maggiori e nuovi investimenti». Per il presidente Usa, il pacchetto «è la priorità economica più impellente». Per questo, conta su una rapida approvazione da parte del Congresso, in modo da poter presentare gli incentivi a fine mese, quando terrà il discorso sull’Unione.
Ma un’autorevole rappresentante dei democratici, la senatrice Hillary Clinton, ha già bocciato il piano, giudicato totalmente inutile e inefficace e contestato perché eroga sgravi a pioggia, senza tener conto delle categorie più in difficoltà come gli anziani, gli afro-americani e gli ispanici. Oltre al pollice verso della Clinton, Bush ha dovuto incassare ieri il verdetto negativo di Wall Street (-0,53% il Dow Jones, -0,21% il Nasdaq). Faticosamente tenuta a distanza da un’altra caduta rovinosa come quella dell’altroieri dalle trimestrali di Ibm e di General Electric, oltre che da un inatteso aumento della fiducia dei consumato, risalita in gennaio a quota 80,5 (75,5 il mese prima) rispetto ai 74,5 indicati dalle stime degli analisti. Tuttavia, il calo del Superindice (il «barometro» che individua con sei mesi di anticipo le tendenze dell’economia) superiore alle attese (meno 0,2 contro il calo delle 0,1% del consensus), ha contributo ad alimentare i timori di recessione.

Ragion per cui il mercato dà ormai quasi per certo un taglio dello 0,75%, al 3,50%, in occasione della riunione della Fed di fine mese: i future sui Fed Fund assegnavano infatti il 50% di probabilità a una riduzione robusta contro il 44% di giovedì. Male, comunque, anche le Borse europee, dove sono stati bruciati altri 82 miliardi di euro di capitalizzazione in seguito a ribassi superiori all’1% (meno 1,1% Milano).

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