Bush offre un trattato di pace alla Corea del Nord

Un altro 11 settembre, questa volta non di morte, bensì di speranza. E non a New York, ma a Pyongyang, la capitale dell’ultimo Paese stalinista nel mondo. La coincidenza è verosimilmente casuale e di certo inaspettata. Martedì prossimo una delegazione di esperti americani, russi e cinesi sbarcherà nella Corea del Nord per visitare le installazioni nucleari, di cui è previsto lo smantellamento entro la fine del 2007. E se il dittatore Kim Jong-il manterrà la parola data, il presidente George Bush lo ricompenserà firmando con lui un trattato formale di pace. Nonostante la Guerra di Corea risalga al 1953, Washington e Pyongyang non hanno mai messo definitivamente fine alle ostilità, limitandosi a siglare una tregua.
L’annuncio è stato dato a Sydney, durante il vertice dell’Apec (il Forum per la Cooperazione Economica Asia-Pacifico) dal sottosegretario al Dipartimento di Stato Christopher Hill che è stato molto cauto nell’illustrare l’intesa. Ha riferito che la delegazione di «esperti» - anziché di «ispettori» (una parola che non piace a Pyongyang) - si fermerà quattro giorni in Corea del Nord per esaminare i piani degli scienziati di Kim Jong-il di «disattivazione» degli impianti nucleari (termine preferito al più drastico «smantellamento»).
Sfumature diplomatiche, a cui invece non si sono attenuti il presidente Bush e l’omologo sudcoreano Roh Moo-hyun, protagonisti di un insolito diverbio in diretta tv. Roh, che il mese prossimo si recherà in visita ufficiale nella Corea del Nord, voleva che gli Usa annunciassero la firma incondizionata del trattato di pace, ciò che avrebbe permesso a Seul di rivendicare il proprio ruolo di mediatore di fronte all’opinione pubblica interna.
Quando Bush ha parlato, il Capo di Stato sudcoreano lo ha corretto: «Potrei sbagliarmi, ma credo di non aver sentito menzionare la firma immediata di un trattato di pace. Ha detto così presidente?». Il leader della Casa Bianca, visibilmente sorpreso, ha replicato di avere già detto che «spettava al leader nordcoreano Kim Jong-il consentire di giungere alla pace; prima però dobbiamo veder sparire le sue armi». Ma Roh ha rilanciato: «Forse il suo messaggio dovrebbe essere più chiaro», mentre i sorrisi dei membri delle due delegazioni si facevano sempre più tesi. Bush, dopo un rapido scambio di sguardi col segretario di Stato Condoleezza Rice, è rimasto fermo sulla sua linea: «Non potrei essere più chiaro: tutto questo accadrà quando Kim Jong-il si sarà sbarazzato, in modo verificabile, del suo programma nucleare e delle sue armi». Poi ha chiuso la conferenza stampa.
Subito dopo i portavoce si sono prodigati nel ridimensionare lo screzio, attribuendolo a problemi di traduzione. Ma quanto accaduto dimostrerà la delicatezza dell’argomento. La Corea del Sud vuole cogliere l’attimo e pare disposta a credere alla buona fede dei cugini nordcoreani pur di riavviare il processo di riconciliazione, mentre Washington, memore dei ripensamenti di Pyongyang in un passato non lontano, esige garanzie precise prima di formalizzare l’apertura al regime nordocoreano. In ogni caso la visita che inizierà martedì 11 rappresenta un balsamo per l’amministrazione Bush. In un periodo di grandi tensioni su diversi scenari geostrategici, accompagnato da frequenti insoddisfazioni, a partire dall’Irak, gli Stati Uniti riescono finalmente a risolvere per vie esclusivamente diplomatiche una crisi delicata, che nemmeno Clinton era riuscito ad appianare negli anni ’90. In secondo luogo, la cooperazione con Cina e Russia può contribuire a stemperare le tensioni bilaterali, soprattutto con il Cremlino. Da un paio di anni Putin chiede di essere trattato alla pari e la presenza di esperti russi nella delegazione valorizza il ruolo di Mosca.
Con Pechino il discorso è diverso; le inimicizie sono latenti e confinate nel breve periodo alle questioni commerciali e, in prospettiva, alla crescita strategica del gigante asiatico.

Ma su Pyongyang, i due governi negli ultimi anni hanno cercato costantemente l’intesa. Una Corea del Nord sola contro tutti e armata dell’atomica non piaceva nemmeno alla Cina, sebbene sia da sempre il miglior alleato di Kim Jong-il.
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