Bush ottimista: il Paese vuole la democrazia

«Lo statu quo in Medio Oriente andava cambiato». «Hamas abbandoni la violenza»

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Bush lo riconosce: «I prossimi giorni in Irak saranno tesi, ma io sono ottimista. Per gli iracheni è giunto il momento di scegliere. La crisi attuale è un test per le forze di sicurezza dell’Irak democratico». Era il minimo che potesse dire di fronte al caos che minaccia di mandare a pezzi i suoi progetti per il futuro di Bagdad.
Il presidente non ha tentato, dunque, di nascondere la verità. Naturalmente, non ha neppure ceduto all’allarmismo. Agli iracheni raccomanda «moderazione e unità». Elogia i «molti leader religiosi che si impegnano a favore dell’unità del Paese», in riferimento ai negoziati per salvare la formula del governo di unità nazionale dopo l’esplosione delle violenze settarie, «che sono un attacco insensato agli uomini di fede ovunque nel mondo». Le spinte settarie sarebbero in contrasto con la «volontà di democrazia già espressa dai cittadini iracheni», ha detto Bush, parlando a un’ennesima riunione di veterani di guerra. Un’occasione per parlare di altre due crisi nel Medio Oriente: in Palestina e in Iran. Di fronte alle quali gli Stati Uniti sembrano prendere posizioni differenziate: moderazione e forse anche mediazione a Ramallah e a Gaza, fermezza e intransigenza nei confronti di Teheran. Su Hamas, Bush ha usato toni e termini molto simili a quelli di Berlusconi nella sua intervista ad Al Jazeera: «Hamas ha un piede sul terreno della democrazia e uno su quello del terrorismo. Adesso dovrà scegliere, perché le sue responsabilità sono aumentate con la vittoria elettorale. Il mondo guarda i suoi leader». Bush gli chiede di «abbandonare la violenza, deporre le armi e riconoscere il diritto all’esistenza di Israele». Condizioni non nuove, ma ricordate in un linguaggio non ultimativo, che pare sottintendere anzi la disponibilità americana ad affrontare, forse a dirigere, trattative lunghe e complesse.
Che ci saranno anche con l’Iran, ma che gli Usa affrontano con spirito diverso. Non paiono improntate al dialogo le poche parole con cui Bush definisce la situazione internazionale di Teheran: «Ad appoggiarla ci sono solo la Siria, Cuba e il Venezuela». Tutto il resto del mondo si oppone alle ambizioni nucleari iraniane, sia pure in forme diverse e con iniziative di vario accento. Bush continua a non escludere nessuna «opzione», neppure quella militare; ma negli ultimi tempi, incluso il discorso di ieri, è parso spostare l’accento sulle pressioni politiche, sull’«azione avviata per portare al popolo iraniano democrazia e libertà». A una platea di militari Bush ha potuto riassumere queste sue iniziative in una strategia generale volta soprattutto alla difesa degli interessi dell’America.

«Lo statu quo nel Medio Oriente doveva essere cambiato, perché era pericoloso per la nostra sicurezza e dunque inaccettabile. Le minacce non nascono dalla nostra azione ma le preesistevano. È durante lo statu quo che si sono verificati numerosi attentati contro gli interessi americani dovunque: nel mondo e anche qui, in casa nostra».

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