Milano - Snob, dandy, partigiano, bibliofilo, colto, ironico e tormentato custode del bon-ton. Tomaso Buzzi è stato una figura singolare nella storia dell'architettura italiana del Novecento, dotato di una personalità fuori dal comune. Dopo il 1945 divenne un maestro del gusto lavorando per le più note famiglie della nobiltà e dell'industria italiana, dai Volpi agli Agnelli, dai Cini ai Contini Bonacossi, interpretandone gli stili di vita e accompagnandone i riti mondani. Oggi il volume Tomaso Buzzi - Il principe degli architetti, curato da Alberto Giorgio Cassani, raccoglie i saggi di cinque specialisti che indagano in forma multiprospettica la varia e complessa vicenda umana, artistica e professionale di Buzzi.
L'estro del Buzzi Buzzi iniziò la sua carriera laureandosi a Milano nel 1923, entrando poi in contatto col gruppo del "Novecento milanese", di cui facevano parte, fra gli altri, Gio Ponti e Emilio Lancia. Con loro Buzzi realizza, nel 1925-26, la sua prima opera importante, la villa L’ange volant a Garches (Parigi). Assieme al Club degli Urbanisti (Alpago Novello, De Finetti, Muzio, Lancia, Reggiori), Buzzi progetta la Forma Urbis Mediolani per il concorso del Piano regolatore di Milano nel 1926. Nel 1927 fonda la società di arredamento Il Labirinto: tra il 1932 e il 1934 è direttore artistico della Venini. Dal 1931, quando lavora per villa Vittoria di Contini Bonacossi, inizia il suo rapporto con la committenza aristocratica che conserverà nell’arco di tutta la sua carriera. Dal 1928 al 1934 pubblica diversi articoli sull’architettura del Cinquecento, su progetti contemporanei e sul tema dei giardini su "Domus" e su "Dedalo" di Ugo Ojetti. L’abbandono di tematiche moderne, a partire dalla metà degli anni Trenta, e la sua apertura verso una committenza d’élite determinano la fine dei rapporti con l’establishement architettonico ufficiale e l’inizio della sua damnatio memoriae protrattasi quasi fino ai nostri giorni. I suoi progetti d’ora in poi vengono pubblicati solo da riviste come “Vogue” e “Harper’s bazar”.
Il secondo dopoguerra Nel 1956 ha inizio l’avventura della sua opera più eccentrica e al tempo stesso più autobiografica, la Scarzuola, con l’acquisto di una chiesa e di un convento francescani del Duecento nei pressi di Montegabbione (in località Montegiove, Terni). Dopo averli ristrutturati per abitarvi Buzzi comincia a progettare e a far costruire la sua "città ideale": costituita da sette teatri, pieni di rimandi all’architettura dal Quattrocento al Settecento, è una sorta di Museo della Memoria, cui Buzzi lavorerà incessantemente fino alla morte e che rappresenta una della pagine più bizzarre e singolari nella storia dell’architettura del Novecento.
Un'arte complessa Il volume, edito da Electa, raccoglie i saggi di cinque specialisti che indagano la varia e complessa vicenda umana, artistica e professionale di Buzzi. Guglielmo Bilancioni ci restituisce l’altra faccia del Buzzi romito e solitario, quella cioè dell’uomo di mondo, appassionato collezionista e bibliofilo. Cassani esplora lo spessore erudito di Buzzi rintracciando il ricco retroterra della sua formazione, strettamente debitrice all’antico e ad alcune figure emblematiche di architetti, quali Serlio, Scamozzi, Palladio, Borromini, per giungere a Ledoux. Enrico Fenzi ripercorre la formazione letteraria e filosofica. Il contributo di Alessandro Mazza si riferisce alla centralità del tema del giardino e al significato che esso riveste sul piano del costruire e del progettare come metafora della caducità del tempo, espressa dalla deperibilità dei materiali impiegati, come il tufo. La passione per le arti applicate viene indagata all’interno del libro da Paola Tognon.
Il volume è corredato da una biografia, dal regesto delle opere e da una aggiornata bibliografia critica. L’opera è impreziosita da un ricco apparto iconografico che offre un’ampia selezione di disegni tratti dall’archivio della Scarzuola e un suggestivo reportage fotografico sulla "città ideale" di Buzzi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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