C’è un Bollani nel motore di Gershwin

Accostare l’arte di Stefano Bollani a quella di George Gershvin non suona come un’eresia. Entrambi sono espressione della musica come colore, impeto, allegria. Ed entrambi regalano sorprese all’ascoltatore. Per questo il ritorno a Santa Cecilia (sabato, lunedì e martedì) del vulcanico pianista non può che far felici gli appassionati veri, quelli che non storcono la bocca solo perché non sarà mai serio come un Pollini. In programma il travolgente concerto in fa - originariamente battezzato «New York Concerto», un pezzo a metà strada fra l’impressionismo musicale francese e il blues. Di jazz, diciamolo c’è poco rispetto a una «Rapsodia in blu». Il concerto per piano è un’opera impetuosa, anche se lo splendido secondo movimento con i suoi silenzi e i pianissimo rischia di essere sommerso dai celebri tossitori dell’Auditorium. Una razza in via di moltiplicazione. Un gruppetto - sparpagliato a dovere - di maleducati che odiano la musica. Ai quali, palesemente annoiati, non resta che molestare l’ascoltatore sul più bello. Un consiglio: farebbero bene a rivolgersi altrove. Il rock (con i suoi elettrici 120 decibel che tutto sommergono) farebbe al caso loro. Ma veniamo al programma della serata che sarà completato da La Sirenetta di Alexander Zemlisky, epigono di Wagner, Mahler e Strauss. Il poema sinfonico è basato sulla celebre favola di Andersen. Ad emergere dalla scrittura musicale è soprattutto la forza dell’elemento marino. L’apertura sprofonda l’ascoltatore nelle oscurità degli abissi, con movimenti pesanti ai bassi da cui emergono disegni liquidi e scorrevoli ai legni: i colori torbidi di quest’introduzione ricordano da vicino le ombre della scena nei sotterranei, che Schönberg pennella nel suo Pelleas und Melisande. Nella melodia del violino solo si ha l’impressione di scorgere la fisionomia malinconica della sirenetta. Poi pian piano prende forma una violenta tempesta, che si abbatte sull’umanità: dai contrabbassi affiorano movimenti inquietanti, che arrivano a coinvolgere tutta l’orchestra, in un roboante episodio d’insieme.
Dopo l’enorme successo di quell’«esperimento di Musica Moderna» che fu la «Rapsodia in Blu», George Gershwin ricevette ufficialmente l'incarico di comporre un intero concerto per pianoforte e orchestra, da lui integralmente strumentato. Il pubblico che assiepava la Carnegie Hall ascoltò allora per la prima volta quello che sarebbe divenuto celebre come Concerto in Fa, e gli tributò il successo. Nel tempo però l’opera venne criticata aspramente per quella sua forte similitudine con la musica di Claude Debussy.
Nel corso della sua breve carriera (Gershwin morì a soli 38 anni) realizzò 33 musical teatrali, 15 opere classiche, 7 musical cinematografici (di cui 3 pubblicati postumi) e più di 700 canzoni estratte dai musical, realizzate singolarmente o in coppia con il fratello paroliere Ira. Quasi tutte queste canzoni sono diventate degli standard e sono state riproposte, con arrangiamenti più moderni, da cantanti e musicisti jazz del calibro di Louis Armstrong, Ella Fitzgerald, Judy Garland, Frank Sinatra e più recentemente da Janis Joplin, Madonna e Sting. Riesce difficile collocare Gershwin in un gruppo omogeneo di musicisti e compositori contemporanei; forse il metro giusto è quello di avvicinarlo ai grandi del musical americano, assieme a Cole Porter, Irving Berlin, Jerome Kern e alla coppia Rodgers/Hart.


Oggi ore 18, lunedì 22 febbraio ore 21, martedì 23 febbraio ore 19,30. Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, James Conlon direttore, Stefano Bollani pianoforte Gershwin «Concerto in fa»; Zemlinsky «La Sirenetta», poema sinfonico.

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