Il regime fascista aveva, fra le sue tante parole d'ordine, il trinomio inscindibile Dio-Patria-Famiglia: una triade che passò pari pari al Movimento Sociale Italiano. Ma il fascismo era anche molto altro, nel bene e nel male, dagli intenti rivoluzionari all'aggressività bellica. Il Movimento Sociale, invece, isolato e estromesso dall'«arco costituzionale», fu per decenni quasi privo di spinte culturali capaci di rinnovarlo. A rappresentare il partito di Almirante e di Fini, anche dopo Fiuggi, rimase soltanto quel trinomio, in sostanza condiviso dalla maggioranza degli italiani, anche di sinistra, ma che veniva irriso come il simbolo di una destra arcaica, reazionaria, nostalgica.
Ieri Gianfranco Fini, in un'intervista all'Espresso, ha fatto due dichiarazioni non del tutto inaspettate ma ugualmente clamorose. Nella prima si è pronunciato per la concessione dei pacs anche alle coppie omosessuali; nella seconda si è detto favorevole all'insegnamento del Corano nelle scuole pubbliche. Personalmente condivido la prima scelta – tutti i cittadini devono avere gli stessi diritti – e non la seconda: nelle scuole si dovrebbe insegnare soltanto storia delle religioni: è perché, in pratica, si è continuato a imporre il catechismo cattolico, che ci si trova ora nel dubbio se sia giusto o meno insegnare anche il Corano.
Ciò detto, l'aspetto più interessante da considerare è proprio la rinuncia, da parte del leader di An, all'antica concezione monolita e immutabile dei concetti di Dio, patria e famiglia. Sì, anche la patria, perché con il suo europeismo quasi acritico e con la voglia di entrare nel Ppe, Alleanza Nazionale ha da tempo rinunciato al concetto di patria degli avi, culturali e politici. I tre valori, che fino a ieri dovevano essere accettati in blocco e nella forma più tradizionale, non vengono meno, ma da valori assoluti diventano parziali, elastici, discutibili. A me sembra che sia un bene, al di là di scelte specifiche poco o affatto condivisibili. Niente è immutabile, niente può né deve esserlo. La destra, in particolare, deve passare dalla difesa dei Grandi Principii, alla difesa dell'individuo, delle sue libertà, delle sue differenze. È questa la strada presa da Fini. C'è da chiedersi come reagirà il suo elettorato, soprattutto riguardo all'accettazione dei pacs. Ci sarà un'altra inevitabile crisi all'interno del partito, ma è abbastanza facile prevedere che, se An perderà i voti dei più conservatori, guadagnerà nuovi e diversi consensi, soprattutto fra i giovani, e nel cambio non perderà.
Tutto ciò però deve essere accompagnato da una seria capacità di analizzare, discutere e risolvere i problemi che nascono nel passaggio dalle parole d'ordine alle posizioni sfumate e diverse su ogni problema. Per questo il passaggio che ho più apprezzato nell'intervista di Fini (e anche quello che passerà più inosservato) riguarda la sua recente fondazione Fare Futuro: «Sarà il luogo in cui elaborare strategie più culturali che politiche tra coloro che si riconoscono nei nostri valori» - valori minuscolo - «e difficilmente entrerebbero in un partito: personalità della cultura, dell'impresa, dell'università». E poi: «Dobbiamo promuovere la qualità, non una presunta fedeltà».
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