Tra le vittime della crisi finanziaria americana ci potrebbe essere anche lEuropa. Almeno lEuropa istituzionale che abbiamo conosciuto fino ad ora. Ad accendere lallarme rosso è quanto accaduto negli ultimi tre giorni. Sabato a Parigi i quattro Paesi più importanti dellUnione hanno bocciato il piano più ambizioso, un pacchetto di salvataggio delle banche da 300 miliardi di euro (il 3% del Prodotto interno lordo del Vecchio continente, ovvero tre volte tanto il bilancio di Bruxelles). Laccordo è stato trovato su qualche cosa di più modesto ma ugualmente apprezzabile: un coordinamento destinato ad armonizzare gli interventi dei singoli Paesi. Meno di 24 ore ed è arrivato il rompete le righe.
Domenica la cancelliera Merkel, spaventata dal mancato salvataggio di Hypo Re e dal clima di sfiducia che si respira in Germania, ha garantito, muovendosi per conto suo, la copertura del 100% dei depositi delle banche tedesche. Gli inglesi, che già avevano protestato per una analoga decisione irlandese, hanno masticato amaro per quello che hanno giudicato un atto di concorrenza sleale. Per tutta la giornata di ieri hanno lasciato trapelare la loro irritazione.
Nel frattempo sempre la Merkel ha fatto muro contro lItalia che tentava di resuscitare, in vista della riunione dellEcofin di oggi, il fondo comune di salvataggio. Insomma dalla Germania, fino a Helmut Kohl disposta a ogni sacrificio pur di mostrare il proprio europeismo, è arrivata unindicazione precisa: se il gioco si fa duro, ognuno fa per sé.
Il problema è che la crisi dei mutui ha messo a nudo una realtà ben nota, ma che nelle ultime settimane si è mostrata con evidenza solare. Compiute lunione economica e monetaria, restano una tabula rasa quella regolamentare e politica. Così il Vecchio continente deve fare i conti con norme sugli aiuti di Stato ridicolizzate dagli eventi. Più o meno lo stesso si può dire del limite del 3% nel rapporto tra deficit e prodotto interno. Quanto al mondo creditizio (e qui conta laspetto regolamentare) le banche europee sono almeno per un verso messe peggio di quelle americane: sono troppo grandi per essere salvate da un singolo Paese. Due economisti, Daniel Gros e Stefano Micossi, lo hanno spiegato bene in un intervento sul Financial Times: per Fortis Bank è stato relativamente facile dividere listituto in tre pezzi e i governi di Olanda, Belgio e Lussemburgo si sono messi daccordo per intervenire (anche se il governo olandese ha subito accusato i belgi di essere i colpevoli del dissesto). In caso di fallimento di altre banche con attività ancora più ramificate a cavallo delle frontiere le complicazioni potrebbero essere maggiori: ogni Paese sarebbe tentato di addossare allaltro i maggiori costi e di vedere invece favoriti i propri creditori. Insomma, come nel caso della corsa a garantire i depositi, egoismo nazionale allo stato puro, con tanti saluti allo spirito europeo.
Per i più ottimisti la crisi potrebbe trasformarsi in unopportunità e favorire dei passi avanti nei campi in cui lazione europea è apparsa meno incisiva. Lesempio più calzante è proprio quello relativo a vigilanza e intervento nel settore creditizio: in un mondo globalizzato e con flussi di denaro a livello internazionale che superano il Pil di interi Paesi, lEuropa affida il controllo del settore finanziario a 40 (quaranta) diverse autorità nazionali. Le quali devono fare fronte, ognuna per proprio conto, a colossi globali con addentellati in tutto il mondo.
In molti hanno auspicato misure immediate come la piena armonizzazione delle regole dei diversi Paesi e la sempre maggiore collaborazione tra i singoli enti di vigilanza. Altri si sono spinti fino alla richiesta di utilizzare una norma dei trattati di Maastricht, larticolo 105, che consente di allargare i compiti della Banca centrale europea.
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