Politica

C’è un tiranno a sinistra

Le elezioni abruzzesi hanno avuto due protagonisti: Silvio Berlusconi e Antonio Di Pietro. E per oggetto il futuro della sinistra: se essa non ha altro linguaggio che il giustizialismo o se può diventare una sinistra europea. E l’astensione maggioritaria ha voluto segnare l’allarme per la democrazia italiana dovuta all’assenza di una sinistra democratica.
Di Pietro non è la democrazia, è la domanda dell’autorità staccata dal consenso che si determina solo con il giudizio penale. Il solo argomento dell’Italia dei valori è che la democrazia è corrotta e occorre un salvatore. E Antonio Di Pietro è questo.
La sinistra non ha compreso che Berlusconi è il volto della democrazia e lo ha combattuto come un tiranno, mentre il pericolo per la democrazia era nutrito nel suo seno. Quei suoi elettori che hanno rifiutato di scegliere tra Berlusconi e Di Pietro, chiedono una sinistra democratica.
Il Pd era andato alle elezioni dopo che era stato deposto dal suo incarico Ottaviano Del Turco, presidente della regione appartenente al Pd. Veltroni non ha difeso Del Turco, lo ha lanciato alle ortiche e si è affidato ai giudizi dei magistrati candidando l’uomo del partito dei magistrati. Ha cioè sconfessato se stesso e dato ragione a chi riteneva la corruzione essere la norma della regione Abruzzo governata dalla sinistra. Non è sicuramente dispiaciuto al segretario del Pd che il presidente deposto fosse un socialista noto, anzi la figura più significativa del vecchio Psi presente nel Pd. Ha preferito l’istinto antisocialista della tradizione comunista: e, conseguentemente ad esso, ha mantenuto la linea della delegittimazione radicale dell’avversario Berlusconi.
Berlusconi ha fatto giustamente della sua persona il protagonista della campagna elettorale. Aveva ben capito che le elezioni abruzzesi ponevano al Pd il dilemma originario della sua identità: se accettava di essere una forza riformista non solo nel linguaggio ma anche nelle scelte politiche oppure se la vecchia linea comunista della delegittimazione democratica dell’avversario fosse la sua essenza politica. Ma neanche Berlusconi è riuscito a fare il pieno dei voti delle elezioni politiche e il fatto fondamentale della consultazione abruzzese rimane l’astensione. Essa rappresenta la domanda di una sinistra democratica come componente essenziale della democrazia.
Fioroni si consola dicendo che, se il Pd avesse scelto l’Udc, avrebbe vinto le elezioni. Ciò mostra la debolezza dei cattolici democratici. Essi non si sono ancora resi conto che Veltroni e il Pd, cioè la sinistra, non possono affrontare il confronto con Di Pietro. I cattolici democratici non si sono accorti che Di Pietro era alla base dell’avvento dei postcomunisti a guida della politica italiana e che l’origine giustizialista dell’Ulivo e del Pd pesa ancora sul partito, impedendo ad esso di raggiungere la figura della sinistra democratica.
Veltroni, abbandonando Del Turco alla sua sorte, ha stabilito il principio che il Pd deve essere il partito della magistratura: e questo quando la rottura della magistratura con il Pd è più che evidente nella «tangentopoli di sinistra», non a caso lanciata dal patrono intellettuale della sinistra italiana, il gruppo della Repubblica.
L’alleanza berlusconiana ha riempito il vuoto della democrazia, è divenuta l’unica forza di governo di cui disponga oggi il Paese. Ma l’astensione del voto abruzzese ci mostra che la democrazia chiede una sinistra democratica. E questa può avvenire soltanto se la sinistra si rende conto come la congiunzione tra democrazia e corruzione, che Di Pietro impersona, è pericolo mortale per la democrazia italiana. Essa rode il rapporto fiduciario tra governo e Paese, tra istituzioni e popolo, e fa della critica giustizialista alla democrazia la definizione della sinistra. E ciò colpisce negli italiani il bene di cui hanno più bisogno, la fiducia in se stessi, che comprende anche il rispetto delle proprie istituzioni.



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