Controstorie

C'è un'Africa virtuosa che sta riciclando i rifiuti

La vera emergenza è la plastica. Ma Dakar ha iniziato a raccogliere e riutilizzare gli scarti

Arrivando in Senegal, è l'alto tasso d'inquinamento a disorientare il viaggiatore alle prese con il suo primo approccio africano. Siamo ben lontani dall'immagine naif di un continente quasi incontaminato. Esistono enormi spazi in cui la natura la fa ancora da padrona e in cui l'uomo vive in sinergia con l'ambiente che lo circonda, ma la situazione è ben diversa nei centri urbani e, ancor di più, nelle grandi metropoli. Basta una passeggiata in centro per rendersi conto dello smog esagerato, causato dalle vecchie auto, e dall'emergenza rifiuti, che affiorano persino sulle spiagge. Per non parlare della visione desolante di certe discariche a cielo aperto e improvvisate lungo le strade appena fuori dalla periferia di Dakar. In un contesto tanto allarmante, vale la pena raccontare di come alcune organizzazioni locali svolgano un ruolo fondamentale nell'individuare le soluzioni più opportune a problematiche tanto gravi. Un esempio è il programma per il riciclo dei rifiuti plastici denominato «Defaratt», che in lingua wolof significa «trasformare».

Il progetto era partito in fase sperimentale nel 2017, attraverso la costruzione di una scuola materna con 7mila bottiglie di plastica, ma è nato ufficialmente l'anno scorso sotto la gestione dall'associazione Hahatay. Su richiesta delle autorità locali, il programma è stato lanciato per far fronte all'insalubrità nelle località senegalesi, dovuta all'espansione incontrollata delle città, e alla dispersione dei rifiuti plastici nell'ambiente che n'è conseguita. Nella città di Thiès (300mila abitanti), capoluogo dell'omonima regione, dove le discariche abusive di rifiuti plastici hanno determinato gravi problemi igienici e danni all'agricoltura, Hahatay è intervenuta creando un centro di riciclaggio della plastica nel quartiere periferico di Silmang. Focalizzandosi sulle fasce più vulnerabili della popolazione, l'organizzazione ha provveduto alla formazione di un gruppo di donne che si sono a loro volta riunite in un'associazione e hanno creato un'impresa in cui lavorano stabilmente 15 persone e dove vengono riciclate 15 tonnellate di plastica al mese. I rifiuti plastici vengono raccolti dalla popolazione e venduti a Hahatay, che li lavora per farne materia riciclata pronta per essere venduta a imprese locali e quindi trasformata in nuovi prodotti. «Abbiamo iniziato con mattoni e piastrelle di plastica - spiega l'amministratore delegato di Hahatay Djibril Dieye -, poi siamo passati a utilizzare il materiale per costruire mobili e persino per creare monili di bigiotteria o addirittura skateboard. Una svolta era necessaria. Dalle nostre parti non esiste un sistema di raccolta consolidato. I rifiuti vengono bruciati all'aperto, oppure, peggio ancora, assemblati su carretti trainati dai cavalli e scaricati in mare o nei fiumi». Bottiglie, sacchetti, piccoli oggetti vengono abbandonati e rimangono per anni nel terreno. Dal terreno spesso penetrano nelle falde e nei fiumi e da qui nei mari. La diffusione di plastica e microplastica è pericolosa perché inquina l'ambiente e danneggia la salute umana e degli animali.

Mentre parla, Dieye mostra con orgoglio una sedia assemblata con bottiglie riciclate. La rivestitura in stoffa nasconde i materiali interni, ma se non fosse per lo scricchiolio che si avverte sedendosi nessuno riuscirebbe a indovinare che cosa c'è all'interno. Non è stato semplice convincere le persone a cambiare mentalità sullo smaltimento dei rifiuti. Oggi però il progetto «Defaratt» è stato esteso in cinque villaggi della città di Thiès. Lo studio e l'implementazione coinvolge 6mila abitanti in un'area di circa 7mila kmq (pari all'estensione della Liguria). «Una delle prime misure - racconta Dieye - è stata quella di riunire i capi villaggio, in modo tale che convincessero la popolazione a differenziate i rifiuti e a portare la plastica nei nostri centri di raccolta. Poi ci siamo dedicata alla mappatura delle discariche illegali, per poter raccogliere tutto il materiale riciclabile, di fatto bonificando aree importanti».

Alla luce del successo ottenuto, Hahatay si sta espandendo oltre i confini senegalesi. Uno dei responsabile dell'organizzazione, Samba Cissé, racconta che «questa esperienza positiva è stata replicata e ha ispirato interventi anche in diversi altri Paesi dell'Africa occidentale, dal Burkina Faso alla Guinea Bissau». Il progetto ha ottenuto nei mesi scorsi il plauso e un finanziamento da parte della Commissione economica per l'Africa delle Nazioni Unite. L'economista camerunense Vera Songwe, segretaria generale della Commissione, ritiene che questo programma «non solo si occupa di salvaguardare l'ambiente attraverso la lavorazione del materiale plastico, ma per come è stato concepito sta diventando un'importante strumento di emancipazione delle donne, impegnate in prima linea non soltanto nella lotta per la propria affermazione, ma anche nel tentativo di migliorare le condizioni di vita dell'intera popolazione».

L'esperimento senegalese dimostra che l'Africa non è al grado zero della sensibilità ecologica. La produzione di rifiuti, oggi 125 milioni di tonnellate l'anno, raddoppierà entro il 2025, ma alcuni Paesi sono già attivi nel campo del riciclo della spazzatura e della plastica in particolare. Il Sud Africa, l'economia più ricca del continente, ha già più di duecento aziende operative. Il Kenya ne ha molte di meno ma vuole recuperare. C'è chi dalla plastica riciclata crea parquet, chi trasforma infradito in opere d'arte, chi ne estrae addirittura carburante.

In Costa d'Avorio, di fronte al bisogno di 15mila aule per soddisfare le necessità dei bambini senza un posto in cui apprendere, l'rganizzazione Conceptos Plasticos ha raccolto materiale riciclato costruendo 500 aule, ispirandosi proprio alla scuola materna «in bottiglia» di Hahatay.

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