C’è voglia d’affitto ma non ci sono immobili da locare

Il problema è la mancanza di redditività Canoni elevati per colpa del fisco

Voglia di affitto, in Italia. Anzi, necessità. Al di là di dati (e canoni) inventati - per fare andare le cose in un modo o nell’altro - la realtà è infatti questa: che i canoni sono «sostanzialmente stabili da tempo» (G. Lodigiani, Gabetti), la loro crescita non ha superato - nel 2007 - il tasso di inflazione, attestandosi attorno al 2,5 per cento. Per contro, negli ultimi anni è cresciuto molto - soprattutto nelle grandi aree urbane - il prezzo delle case. Dunque, l’affitto è tornato competitivo rispetto alle rate (considerati i nuovi interessi, anche) di un mutuo.
C’è voglia (e convenienza) d’affitto, dunque, ma non ci sono immobili da locare, perlomeno con contratti di una certa stabilità (la domanda è per il 23,4 per cento di studenti e per il 24,9 di lavoratori di grandi aziende - dati Nomisma). Manca l’offerta di locazioni, e manca per una ragione semplicissima: che non c’è più redditività, nell’affitto. I canoni - pur fermi, come detto - sono alti, ma sono alti perché vanno per il 50/60 per cento in fiscalità locale ed erariale, al proprietario rimane niente (anche senza contare gli imprevisti). Per ricreare il mercato dell’affitto (di cui c’è urgente bisogno, anche come via di fuga dalla crisi dei mutui), bisogna puntare sulla proprietà diffusa. L’errore sarebbe quello di mettersi nelle mani di qualche monopolista, che poi - prima o dopo - farebbe pagare la sua posizione di privilegio e che, comunque, sarebbe pronto solo tra anni e anni.


Se non si punta sulla proprietà diffusa - anzitutto, introducendo la cedolare secca - magari si fa anche del bene (a imprenditori/costruttori in cerca di nuovi business, a politici e sindacalisti vari in cerca di clientele, a professionisti senza lavoro). Ma non si risolve certo il problema, tantopiù in tempi brevi. Il problema l’ha sempre risolto la molteplicità dei singoli proprietari.
*presidente Confedilizia

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