«La caccia alle streghe è finita all’ora dei Tg»

«Hanno distrutto mia madre che non c’entrava nulla. Volevano colpire un simbolo: ora come camperemo?»

da Milano

«Dov’è il mio fidanzato? Voglio il mio fidanzato», grida Stefania Nobile, mulinando le braccia e cercando un riparo contro l’onda delle telecamere e dei microfoni. Afferra Davide come un salvagente, si allontana dall’aula, insieme alla madre che porta gli inseparabili occhialoni da sole.
Un’ora dopo, al termine di una giornata lunghissima trascorsa fra il palazzo di giustizia e lo studio dell’avvocato Cataliotti, Stefania ritrova la calma di sempre.
Se l’aspettava?
«No, non me l’aspettavo. Ci sono rimasta male. Ma soprattutto trovo assurdo che abbiano equiparato la posizione di mia madre alla mia».
Perché?
«Mia madre è una donna distrutta. Io mi prendo i miei dieci anni, ma mia mamma era solo una dipendente dell’Asciè, nessuna delle vittime può dire di averla riconosciuta al telefono, non ha un euro intestato, i dieci anni a lei come a me non stanno in piedi».
Vanna Marchi è un simbolo.
«Appunto. Non potevano darle una pena più bassa. Ora sono tutti contenti: hanno offerto Vanna e Stefania Marchi in pasto all’opinione pubblica, la caccia alle streghe è finita, siamo state bruciate sulla piazza mediatica. E faccio notare che la sentenza è arrivata all’ora dei telegiornali».
Lei adesso si sente di dire qualcosa alle vittime? Chiede scusa come ha fatto dal Brasile il mago Do Nascimento?
«No. Non ho niente da dire. O meglio, voglio raccomandare a chi è venuto in aula e ha raccontato il falso, di farsi l’esame di coscienza. E poi voglio aggiungere che è inaccettabile la pena accessoria dell’interdizione dalle televendite per cinque anni».
È una conseguenza della condanna principale.

Non le pare?
«Eh no, sa cosa comporta questo divieto? Significa che io e mia madre non potremo lavorare per i prossimi cinque anni. E come camperemo? Io so fare solo questo mestiere. Come farò? Questa è una pena vergognosa».

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