Ero incerto se occuparmi oggi delle preoccupazioni procurate alla Commissione europea e al Fondo Monetario Internazionale dal troppo dispendioso documento di programmazione economica e finanziaria imposto al governo italiano dalla sinistra massimalista, o degli sviluppi sempre più clamorosi e inquietanti della rimozione del generale Roberto Speciale dal comando della Guardia di Finanza. Che rischia di costare più di un processo a chi lha reclamata, ottenuta e difesa davanti al Senato, ingiuriando lalto ufficiale per avere resistito alle indebite pressioni e agli altrettanto indebiti scavalcamenti della cosiddetta autorità politica.
Ma quel diavolo di Marco Pannella mi obbliga a tornare su una notizia che, anticipata in un assolato pomeriggio romano del mese scorso, mi sembrava francamente incredibile per il fatto che a darla era stato, come improvvisato portavoce radicale, nientemeno che Oliviero Diliberto. Il quale è segretario di un movimento che, a distanza ormai di quasi 18 anni dalla caduta del muro di Berlino, si chiama orgogliosamente «partito dei comunisti italiani». È quindi vero, o quasi. Il vecchio e inossidabile Marco, non potendo solo per ragioni di statuto «cacciare» materialmente il giovane Daniele Capezzone dal partito radicale, come aveva invece annunciato Diliberto, lo ha interdetto con quella che il suo ex pupillo ha giustamente definito «la brutta copia di una fatwa». In particolare, dopo avergli tolto la segreteria del partito e ledizione domenicale della rassegna stampa di Radio radicale, Marco ha preteso e ottenuto dal comitato nazionale un documento di condanna anche morale di Capezzone. I numeri per questa operazione non sono certo mancati a Pannella, come dimostrano i 28 voti favorevoli e i soli 7 contrari raccolti dal verdetto contro Capezzone dopo un dibattito che Gian Maria De Francesco sul Giornale ha paragonato al «primo processo politico dellera staliniana»: quello che aveva tra gli imputati il contumace Lev Trotskij, destinato ad essere assassinato in Messico. Spero che Diliberto, da comunista irriducibile, non sinorgoglisca anche di questo. Ma decisamente meno convincenti dei numeri sono stati gli argomenti usati da Pannella, che ha accusato Capezzone di essere in pratica un fannullone per via di unassai scarsa, e documentata, partecipazione alle votazioni parlamentari.
In effetti lex segretario radicale, peraltro astenutosi alla Camera sulla fiducia che consentì a Romano Prodi di scampare alla crisi di fine febbraio scoppiata al Senato sulla politica estera, da tempo evita coerentemente di votare le bischerate di un governo che Pannella per primo ha più volte considerato composto di «quasi buoni a niente». Buoni solo a fare danni al Paese, purtroppo anche con il concorso, spero almeno sofferto, del ministro radicale Emma Bonino.
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