«Cade il disegno barocco dell’Ue e ora l’Italia può avvantaggiarsi»

Il presidente della Commissione ambiente della Camera: «Si torna all’area di libero scambio, la riforma del patto era un segnale»

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Fabrizio De Feo

da Roma

Per un principe dell’euroscetticismo come Pietro Armani, presidente della Commissione ambiente della Camera, il «no» francese alla costituzione non è certo un evento per cui strapparsi le vesti. Anzi il sorriso malizioso che si allarga sul suo viso mentre analizza il terremoto post-referendario la dice lunga sul suo stato d’animo.
Presidente Armani, cosa significa questo voto?
«È la caduta del disegno barocco di un’Europa rigida e burocratica. La costituzione è politicamente morta».
Lei fa parte del partito di Gianfranco Fini, rappresentante del governo nella Convenzione. Non è una contraddizione?
«Fossi in Fini non sarei dispiaciuto. In fondo la sua battaglia per le radici giudaico-cristiane non era stata accolta. Mettiamola così: questo voto è la vendetta postuma di Giovanni Paolo II».
Che cosa resta dell’Ue dopo questa picconata francese?
«Si va verso un ritorno a un’area di libero scambio. La recente riforma del Patto di stabilità aveva già suggerito l’inizio della fine».
L’Italia ora è più debole o più forte dentro l’Ue?
«La Francia sarà più debole nella difesa della Pac e noi dobbiamo approfittarne. Inoltre l’Italia potrebbe incassare un rilancio di ruolo politico ed economico».
Lei ha avversato l’euro ed è uno dei grandi sostenitori di Antonio Fazio. Dica la verità: le piacerebbe che la Banca d’Italia tornasse a emettere la lira?
«Ormai è fatta. L’euro resterà. No, tornare ora alla lira non avrebbe senso: con larga parte del nostro debito pubblico nelle mani degli investitori stranieri sarebbe un suicidio».
Allora Armani è diventato un euroentusiasta?
«Macché. Penso tuttora che l’euro è stato attuato dai suoi architetti franco-tedeschi con fretta e arroganza. E che il centrosinistra abbia subito il tutto con sudditanza».
Cosa avrebbe fatto se fosse stato al governo?
«Non sarei entrato nell’euro a quelle condizioni, con l’Italia indebolita dalla crescita della pressione fiscale, tanto per perseguire la battaglia di bandiera di Prodi. Avremmo dovuto ridurre la spesa corrente, procedere alla doppia circolazione e fissare un altro tasso di cambio. Già con il cambio a 2000 avremmo impedito gli arrotondamenti».
Cosa deve fare ora la Bce?
«La Bce deve governare il cambio e procedere a svalutazioni competitive. Basta giocare in difesa contro l’inflazione».
Seguire le orme dell’Inghilterra, ovvero mantenere la lira, sarebbe servito a qualcosa?
«Ci sarebbe costato di più nell’immediato. Avremmo dovuto fare subito la riforma delle pensioni - con la nostra del ’94 avremmo risparmiato da 20 a 30 miliardi di euro in 2 anni - ma ora avremmo una maggiore elasticità e capacità di risposta».
Veniamo all’immediato: cosa fare per rianimare l’Europa?
«Interventi drastici. Basta con le strutture mastodontiche. Ridimensioniamo la Commissione. E poi basta con le tre sedi: Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo. Riuniamo tutto in un’unica sede e abbattiamo le spese».


I parametri di Maastricht?
«Maastricht era pensato in un’ottica di crescita continua. Bisogna correggerlo subito. La prima cosa? Portare fuori dai parametri i costi per le infrastrutture strategiche dentro l’Europa».

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