Cade l’ultimo tabù La Madonna distrutta è un’offesa all’uomo

Cade l’ultimo tabù La Madonna distrutta è un’offesa all’uomo

di Luca Doninelli

L’episodio della profanazione della statua della Madonna durante la manifestazione degli indignados ieri a Roma ha colpito l’immaginazione di tutti. Non si tratta solo di un’offesa alla religione e ai suoi simboli ma, più profondamente, all’uomo e alla sua dignità.
La reazione di autorevoli rappresentanti della Chiesa italiana insistono su questo punto. Non solo è stata offesa, dice il direttore della sala stampa Vaticana, «la sensibilità dei credenti», ma «l’episodio di ieri» aggiunge il cardinal Angelo Scola «ci intristisce pesantemente e ci addolora in maniera grave perché esprime una grave violenza del più comune senso dell’umano».
Ne Gli angeli dello sterminio, ultimo romanzo pubblicato poco prima di morire, nel 1992, Giovanni Testori raccontò la distruzione del Duomo di Milano come atto definitivo della cancellazione dell’uomo e della sua dignità dalla faccia della terra.
Ma la distruzione materiale viene preceduta, nel libro, da qualcosa di peggio: la cancellazione dei nomi dalla memoria degli uomini, il non saper più dare un nome alle cose. Luoghi e personaggi in quel romanzo non hanno più un nome proprio: il solo che rimanga è, ironia della sorte, quello di una marca di motociclette.
L’immagine della statua distrutta e calpestata ieri a Roma ci rinvia a quelle figurazioni romanzesche, dove la distruzione, prima che nell’atto materiale che la compie, consiste nel fatto che qualunque cosa vale qualunque altra cosa: un’automobile, una sigaretta, una statua di Maria, un computer.
C’è stato, sicuramente, anche un calcolo nel gesto di Roma, un piccolo progetto stupido, la volontà di «andare oltre», forse addirittura un filo della vecchia ideologia che vede nell’eliminazione delle religioni dal mondo una specie di liberazione dell’umano.
Se le cose stessero solo così, potremmo tirare un sospiro di sollievo: si tratterebbe sì di una bestemmia, ma - come direbbe Charles Péguy - di una bestemmia cristiana, di una bestemmia religiosa.
L’arte contemporanea si è spesso servita di simboli religiosi, deridendoli, sbeffeggiandoli, distruggendoli. Dalle madonne immerse nell’orina di una famosa mostra newyorkese ai crocefissi omosex che si baciano di uno spettacolo teatrale «alternativo», sono tutte bestemmie, se vogliamo, ma sempre bestemmie religiose: esprimono in ogni caso un dolore, un disagio profondo, un conto aperto con la vita e con la società. Nessun simbolo laico (e chi mai?, Che Guevara?, Voltaire?, Lenin?, Mussolini?) potrebbe toccare allo stesso modo i cuori umani.
La mia impressione, però, è che l’insulto di ieri non sia l’espressione di questo tipo di atteggiamento. Il contesto in cui si colloca quel fatto - non la manifestazione in sé, ma la grave crisi non solo economica ma culturale e antropologica che attraversa il mondo - lo pone a un diverso livello di gravità. Questa non è più una bestemmia cristiana: semplicemente, non è più niente, e in questo niente sta il vero orrore della cosa.
Il simbolismo mariano travalica il cristianesimo. Maria è amata da musulmani e buddisti: io ho visto con i miei occhi l’immagine di Maria in case islamiche, uomini completamente atei, colpiti da un grave dolore, rivolgersi in preghiera a Lei. Maria rappresenta un destino di tenerezza che ogni uomo, credente o meno, desidera per sé, nel profondo si sé.
Gli indignados non c’entrano. Qui si tratta di un niente per cui non esistono più i nomi delle cose, e le parole non hanno più nessun significato; per cui baciare una ragazza e uccidere un uomo sono la stessa cosa, e la carezza data al proprio figlio contiene la stessa ferocia dalla quale vorremmo preservarlo.


Il punto sta qui, in questo disprezzo dell’umano che cancella qualunque senso, raschiandolo via dalle cose. Nessuno può chiamarsene fuori: il mondo è un’opera collettiva, così come lo è la sua insensatezza. Per questo siamo tutti responsabili. Non colpevoli (niente lagne, per favore), ma responsabili.

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