Cadel, prima maglia iridata agli antipodi

MendrisioÈ cittadino del mondo, con il mondo addosso. Cadel Evans, 32 anni, australiano residente nel Canton Ticino (Stabio, proprio a due passi da Mendrisio), è il nuovo campione del mondo, il numero uno del ciclismo, dopo essere stato per anni l’eterno piazzato. Prima nuoto, calcio e cricket, poi ciclismo. I suoi amici lo guardavano un po’ così. Per loro - gli amici - sport era soprattutto football australiano, al limite il rugby: roba forte, da duri. Il ciclismo? Per gli australiani cosa da femminucce. Anche se oggi il giudizio è notevolmente cambiato. «È sempre uno sport di secondo piano - dice -, ma oggi la cultura per il ciclismo è cresciuta e io penso, nel mio piccolo, di aver contribuito alla buona immagine di questo sport. Per anni il più popolare di tutti è stato Stuart O’Grady, oggi sono io, il primo australiano campione del mondo nella prova il linea, io che per due volte ho sfiorato anche il Tour de France, la corsa più importante del mondo».
In principio fu mountain-bike. «Prima gara a 14 anni. Più che una gara una garetta, però mi piaceva ­ racconta il campione del mondo -. Mi sembrava divertente, e poi attorno a casa c’erano tante colline». A 15 anni entra nel Club Flat Tyre Fliers (letteralmente: “Le gomme sgonfie che volano”), e conosce l’allenatore Grundy, mago australiano dello sport: «E pensare che in quel periodo ero davvero confuso e indeciso. Avrei voluto fare il cameraman, ma scelgo la mountain bike e arrivano tante soddisfazioni, anche una coppa del mondo». Poi la volta del ciclismo su strada. «Prima gara nel ’94. La vinsi. Più facile o più difficile delle corse fuori strada? Diverso. Per vincere nel cross-country occorrono grandi gambe e buona condizione, per vincere su strada occorrono tante cose: testa, esperienza, fiuto e anche quella cosa lì. Sì, il lato B, come dite voi. Anche qui dopo tanta sfortuna, sono stato bravo e fortunato. Senza la fortuna non si va da nessuna parte». Nel 2001 alla Saeco, poi alla Mapei, con la quale si fa apprezzare in un Giro che lo porta in alto, tanto da raggiungere la maglia rosa, poi il tonfo di Folgaria. «Ma da quella crisi, è nato il nuovo Evans».
Viene da Katherine, dove è nato, in quel pianeta sterminato d’Australia che si chiama Nuovi Territori. Poi è cresciuto a Melbourne (dove il prossimo anno si terranno i mondiali, ndr), nella casa di mamma Helen. Calmo e riflessivo giù dalla bicicletta, cocciuto e battagliero in corsa. Cadel in gaelico - la lingua arcaica degli irlandesi - significa battaglia. Gli Evans, invece, in Australia ci sono arrivati dal Galles, erano gente poco raccomandabile: o banditi o galeotti, trapiantati nel 1840 in quella grande colonia penale che a quei tempi era il continente australiano.
«L’Australia ce l’ho nel cuore, è nel mio Dna. Mi mancano tanto il cielo blu e i grandi spazi del mio paese. Qui da voi soffro un po’ di claustrofobia. L’Europa mi affascina per la sua storia, i palazzi, la cultura. L’Italia è un paese fantastico. Grande cucina, grandi vini: Amarone, Barolo e Sangiovese i miei preferiti». Non ama però la pizza: «Non ne faccio una malattia. Adoro invece la polenta.

Me la faccio fare da mia moglie (Chiara Passerini, pianista concertista, ndr). Io simbolo del ciclismo pulito? Non sono io a doverlo dire, anche se la mia storia è lì da vedere». E ora, con la maglia iridata addosso, lo si vedrà ancora meglio.

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