In Calabria il Pd si affida ai pm: manovre per colpire Scopelliti

nostro inviato

a Reggio Calabria

«La stessa lobby che nel 2002 voleva farmi fuori nella corsa a sindaco di Reggio Calabria oggi sta cercando di farmi fuori per evitare che possa vincere la competizione per la presidenza della Regione...». Pensieri, parole e messaggi in codice, il primo cittadino reggino, Giuseppe Scopelliti, li ha affidati giorni fa a un quotidiano locale per sgombrare il campo da voci e veleni che hanno allarmato anche i referenti romani del brillante sindaco, uno che in quindici anni di amministrazione pubblica in Calabria si ritrova a fare i conti solo con un avviso di garanzia per occupazione abusiva di suolo pubblico e un omesso controllo sul pergolato di una discarica.
Nonostante ciò la misteriosa lobby politico-mediatico-giudiziaria cui fa riferimento (senza mai nominarla) il politico di centrodestra più votato d’Italia, ha ripreso a scaldare i motori: rilanciando i boatos di nuove e vecchie inchieste sulla giunta Scopelliti, facendo circolare lettere di «corvi» recapitate in redazione, puntando a ipotizzare un nuovo caso Cosentino (vedi il Fatto), sulla scia di antiche questioni criminali rispolverate per l’occasione elettorale dalle toghe calabresi. Le quali, aspettando di capire come finirà il gioco al massacro all’interno del centrosinistra locale, fra Loiero e Bova, potrebbero anche decidere di non aspettare le primarie del Pd per fare campagna elettorale a colpi di avvisi di garanzia e giornalate. E non è un caso che la parlamentare calabrese del Pdl Angela Napoli, annusando la stessa aria respirata dal sindaco Scopelliti, si sia messa a battagliare per far ritirare alcuni candidati a rischio di imminente incriminazione in una delle tante inchieste su mafia e politica aperte, o riaperte, a Reggio Calabria.
In quest’ottica vi sarebbero sviluppi su un troncone d’indagine, dato già per defunto, concernente il ruolo di un ex agente di polizia, giovane consigliere comunale di An, Massimo Labate, arrestato nell’operazione «Testamento» perché inizialmente ritenuto vicino alla cosca Libri. Sul suo presunto coinvolgimento in questioni criminali, a dirla tutta, è uscito poco o niente, se non qualche telefonata di dubbia interpretazione. Ma quel che più stuzzica la «lobby» misteriosa è un chiamata indiretta, assolutamente marginale, del primo cittadino che nel procedimento Labate è stato interrogato a proposito della conoscenza, avvenuta in discoteca nel lontanissimo 1980, di un tale Nino Fiume, diventato criminale molto tempo dopo e pentitosi solo di recente, che ha confessato di aver votato e fatto votare per Scopelliti nel 2002. Una iniziativa politica personale visto che, dal 1980, Scopelliti non l’ha più frequentato. Il sindaco, costretto a dire la sua sotto giuramento, ha fatto spallucce: «Conosco questo Fiume come tanti ragazzi di questa città, ci si conosceva un po’ tutti all’epoca, in discoteca con lui fu una frequentazione estiva e casuale». La cosa singolare è che lo stesso pentito, preso a verbale nel «Caso Reggio», sostenne che le cosche a Scopelliti l’avevano nel mirino: «La ’ndrangheta se lo voleva fottere». Già che c’erano, al sindaco hanno chiesto perfino conto di contributi erogati per feste patronali e mostre d’arte (risultati poi in regola) che avrebbero interessato personaggi vicini alle cosche. Di tutto, di più: recentemente l’hanno messo sotto per violazione del codice della navigazione a seguito dell’installazione di alcuni gazebo sul lungomare. E, proprio sulla scia dell’inchiesta Labate, sotto traccia avrebbero ripreso corpo ulteriori accertamenti collegati alla pista già battuta (peraltro con scarso successo) sugli interessi della ’ndangheta per la raccolta dei rifiuti solidi urbani, e dunque sui possibili condizionamenti alla giunta di palazzo San Giorgio. A fronte dell’assunzione per concorso di alcuni lontani parenti appartenenti alla cosca Libri nella società mista Leonia (tutti risultati incensurati) la «lobby» s’è dimenticata di divulgare la notizia che figli e parenti di un’altra cosca, quella del super boss De Stefano, sono stati invece bocciati perché privi dei requisiti richiesti.
Quanto poi alla ripresa di nuove attività d’indagine sugli interessi criminali di tal Gioacchino Campolo, l’affittuario di una sede per la segreteria politica di Scopelliti, definito «re dei videopoker», «contiguo ad ambienti della ’ndrangheta reggina» nonché «presunto fiancheggiatore di alcuni ricercati della Piana di Gioia Tauro», c’è poco da dire: se non che i carteggi esibiti ai magistrati hanno dimostrato la correttezza della procedura e l’assenza di qualsiasi altra contropartita da parte del sindaco o della giunta.

Pur di dare addosso a Scopelliti poi, nessuno s’è ricordato dell’attivismo trasversale e immobiliare di questo Campolo che in precedenza aveva dato la disponibilità a utilizzare alcuni suoi locali, in occasione di campagne elettorali, anche all’ex sindaco comunista Italo Falcomatà e ad altri noti esponenti di centrosinistra.

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