In gol dopo 40 secondi: così il leone brasiliano Luis Vinicio conquistò Napoli (e poi Vicenza)

Arrivò nel nostro campionato a metà degli anni Cinquanta e subito conquistò tutti, da Sud a Nord: storia di un brasiliano tenace e cannoniere, che sarebbe poi diventato allenatore

Wikipedia
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Provate a socchiudere le palpebre per un istante soltanto e tendete l'orecchio. Lo sentite anche voi, questo fragore? Gente che esulta scomposta sulle tribune, letteralmente in delirio. Tutti che gridano il suo nome, mentre lui festeggia sotto ai suoi nuovi, eccitati tifosi. Succede, specie se questa è la partita del tuo esordio e tu segni dopo soltanto 40 secondi. Difficile pronosticare un incipit migliore. Lui ne è perfettamente consapevole. Quella gara tra Napoli e Torino finirà due a due, ma tutti lo capiscono subito, che in Italia ha appena citofonato una stella. Si chiama Luís Vinícius de Menezes, detto Luís Vinício: è nato a Belo Horizonte, il 28 febbraio del 1932. Segni particolari: samba applicata in area di rigore.

Scende dalla scaletta dell'aereo piombando nell'Italia degli anni Cinquanta, una paese ancora ricolmo di pregiudizi verso tutto quel che proviene da oltre confine. Figuriamoci lui, che ha vissuto fino ad ora ad un oceano di distanza. Figurarsi nell'ecosistema calcistico, dove il rilievo e le copertine se le prendono tutte gli italiani, mentre gli oriundi sembrano oggetti esotici, interessanti, ma pur sempre alieni. Vinício però fa spallucce. In fondo sa di possedere la sicurezza dei grandi. E poi al Botafogo si è disimpegnato bene, altrimenti mica l'avrebbero chiamato.

Lauro, il presidentissimo del Napoli, l'ha strappato alla Lazio pagandolo 50 milioni di lire, la metà di quel che gli era costato Jeppson. La trattativa per condurlo sotto al Vesuvio è stata rocambolesca, perché il carioca era già praticamente diretto a Roma, opzionato dal presidente Mario Vaselli, costruttore edile. Lauro - che era anche sindaco - però si gioca la carta dell'appalto, chiedendo a Vaselli di lasciargli il giocatore in cambio dell'affidamento dei lavori relativi al municipio di Napoli.

Negli anni Cinquanta il Napoli aveva già tre stranieri in rosa – Jeppson, Pesaola e Vinyei – e il regolamento non permetteva di superare quel numero. Per trattenere anche Vinicio si tentò di dimostrare una sua ascendenza italiana: un parroco di Aversa rintracciò una famiglia con il cognome della madre del giocatore, Amarante, sostenendo che una donna emigrata in Brasile potesse esserne la nonna. Ma senza documenti la tesi non ebbe valore, e così il club fu costretto a rinunciare a Vinyei.

Restò invece la coppia d’attacco Vinicio-Jeppson, ribattezzata “V2” come il missile tedesco. Il brasiliano, appena ventitreenne, era una forza prorompente, ma il tandem non decollò: rivalità personali, gelosie interne e le tensioni nello spogliatoio allenato da Amadei ne minarono la resa. Solo una volta la “V2” mostrò tutto il suo potenziale, nell’8-1 inflitto alla Pro Patria, con tre gol di Vinicio e due di Jeppson. Ma quell’exploit rimase un fuoco di paglia: l’illusione di mezzo campionato.

Così è Napoli la prima facciata incisa nel suo viaggio italiano, che sarà lungo, ma ancora non può saperlo. Un metro e ottanta per ottanta kg circa, sa ritmare il suo registro calcistico passando dai movimenti felpati alla furente ricerca del pallone e del gol. Per questa sua voglia il pubblico gli affibbia subito un soprannome eloquente: 'O Lione. Con gli azzurri se la caverà alla grande, lambendo anche - nella sua seconda stagione - il primato in classifica cannonieri: diciotto gol e grappoli di soddisfazioni, come le quattro reti brutalmente rifilate al Palermo, o il contributo nel successo interno contro la Juve. Luis trascorre in Campania cinque stagioni della sua esistenza calcistica e terrena, segnando 69 gol. Un bottino più che sufficiente per incidere il suo nome nel cuore dei tifosi, anche perché la passione carioca e quella partenopea sono fatte della stessa sostanza.

Vinicio al Vicenza
Luis Vinicio al Lanerossi Vicenza

Nel 1960 si trasferisce al Bologna, ma le cose non vanno esattamente come le aveva immaginate. Dopo una prima stagione soddisfacente, infatti, l'arrivo di Harald Nielsen - destinato a diventare per due volte capocannoniere - riscriverà le gerarchie. Così, pur mettendo via diciassette centri in due campionati, decide che sia venuto il momento di sfilarsi. Perché Vinício pretende le dovute attenzioni. Non avrà nelle sue corde i colpi luccicanti di Omar Sivori, né la classe di José Altafini, ma in attacco sa fare un po' di tutto, e tutto bene.

Così eccolo accettare di indossare una maglia biancorossa che lo conduce quasi all'estremo opposto del suo incipit italiano: Lanerossi Vicenza. Miglior scelta possibile per distacco, perché in quella dimensione torna ad essere idolo e capopopolo. Il club e la gente si affidano a lui, e Luis Vinício traduce ogni grammo di questa pressione in energie positive. Dal 1962 al 1967 va a segno sessanta volte, ridisegnando i bordi del destino vicentino, ergendosi a sovrano per acclamazione di quelle terre.

Gli ultimi scampoli del suo viaggio italiano si consumeranno tra l'Inter - soltanto otto presenze e un gol - e un romantico ritorno proprio al Vicenza, condito da sette reti. Ovunque la sua missione è disseminare talento. Vinicio è un centravanti moderno dentro un calcio ancora arcaico: arretra a prendere palla, dialoga con i compagni, non si limita a stazionare dentro l’area aspettando il cross.

In un campionato chiuso, spesso speculativo, sprigiona un lampo di improvvisazione che ha il sapore succoso di un frutto brasiliano.

Dopo si sarebbe spalancata un'altra carriera, quella da allenatore. Il vero samba però lo riservò al campo, diventando uno degli oriundi più amati nel nostro paese.

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