- Oggi se volete ridere, leggetevi l’intervista con cui Maurizio Landini “lancia” lo sciopero e le manifestazioni di domani. Due cose. Primo, confessa che lo sciopero è “politico”. Il che non ci sorprende, visto il silenzio della Cgil quando al potere c’è un governo amico. Secondo, assicura che si tratta di una mobilitazione “per i 38 milioni di italiani vittime dell’austerità”. L’austerità, capito? Dopo i governi Monti&co, dopo che ci dicevano di fare “come chiede l’Europa”, dopo che “il deficit va tenuto sotto il 3%” e “lo spread” e “il Patto di Stabilità”, adesso Landini ci viene a dire che una manovra attendista ma cauta è simbolo di “austerity”. Ma fatemi il piacere.
- Ah, indovinate quale sarà la prossima battaglia della Cgil? Nuovi contratti? Macché: il referendum sulla giustizia. Ciao Maurì.
- Ho letto attentamente quanto uscito dall’ordinanza con cui il Gup di Milano ha disposto il sequestro di un palazzo in Brera, a Milano. E non è che si capisca molto. Quel che è certo è che lì dove un tempo c’erano delle macerie ora stanno costruendo un bel palazzo, che arricchirà sì i costruttori ma anche piastrellisti, operai, idraulici, elettricisti, portieri notturni e tutto il resto. I vicini si lamentano per la luce che quel palazzo avrà tolto loro? Lo capisco. Ma occhio a non fare di tutta l’erba un fascio. Le città per riqualificarsi hanno bisogno di costruire. E per costruire serve rapidità, altrimenti chi si metterà mai ad investire?
- Il genio esiste. Ed ha preso le sembianze di quella signora che a Como ha spostato il compagno senza dirgli che in realtà è già stata spostata e non ha mai ottenuto dall’ex marito il divorzio. Ha scritto l’atto con l’Ai, un testimone se ne è accorto ed eccoci al patatrac. Siamo un Paese bellissimo.
- Zelensky deve bere l’amaro calice. Ha “confessato” quello che tutti si immaginavano, ovvero che gli Stati Uniti gli hanno chiesto di rinunciare alle terre del Donbass già perdute e in sostanza anche a quelle ancora nelle sue mani. Trump vorrebbe far arretrare l’esercito ucraino, che resterebbe di 800mila unità, creando una zona demilitarizzata nella parte di Donbass ancora non in mano ai russi. È un patto che piace più a Putin che a Zelensky? Sì. Era forse possibile arrivare ad un’altra soluzione? Non so, ma non credo. Se da un lato c’è un Paese, la Russia, disposto ad andare avanti a fare la guerra e dall’altra un Paese, l’Ucraina, il cui principale sponsor s’è stancato di fornire armi (cioè gli Usa) al tavolo negoziale quelli col coltello dalla parte del manico sono i russi. E si sta vedendo.
- Zelensky propone un referendum sulla cessione dei territori alla Russia. E qui bisogna notare due cosette. La prima: da “non cederemo mai nulla” siamo passati al referendum, il che dimostra che i rapporti di forza sono decisamente cambiati. I leader di Kiev hanno capito che Trump quei territori li ha già assicurati a Putin, giusto o sbagliato che sia, in cambio della fine delle ostilità. E purtroppo l’Ucraina non può fare a meno degli Stati Uniti. La seconda: l’idea di proporre un referendum o il voto per l’elezione del presidente rischia ovviamente di allungare a dismisura i tempi per la pace, il tutto con le armi che continueranno a sparare visto che il cessate il fuoco non verrà firmato prima di aver definito tutti i dettagli del piano. Le cose di fanno ingarbugliate.
- Fermi tutti, Luigi Di Maio s’è fatto meloniano. E la cosa dovrebbe preoccuparci.
In una intervista al Corsera dice: “La stabilità politica e di governo degli ultimi anni ha permesso all’Italia di essere percepita come un attore affidabile”; “La differenza” tra i consensi dei partiti (M5S e FdI) “la fa sempre il leader”, in Forza Italia "Antonio Tajani sta facendo un lavoro importante”. Aiuto. Ma in fondo da uno nato coi Vaffa, diventato grillino, trasformato in draghiano e mezzo piddino, infine miracolosamente inviato nel Golfo, cos'altro potevamo aspettarci se non una nuova giravolta?