Calcio

Mourinho, i numeri di una carriera che sta diventando sempre meno "special"

Dopo l'esonero a sorpresa dalla Roma, l'impressione è che il tecnico portoghese non sia quello più di una volta. I numeri sembrano confermarlo: anno dopo anno, le stagioni dello Special One sono sempre meno speciali

Mourinho, i numeri di una carriera che sta diventando sempre meno “special”
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La fine improvvisa dell’era Mourinho a Trigoria e la scelta di affidarsi ad un tecnico alle prime armi come Daniele de Rossi ha lasciato di stucco il tifo romanista, che si era sempre schierato come un sol uomo dietro allo Special One. Alla fine, però, le polemiche continue e i risultati deludenti dopo le grandi spese dell’estate hanno convinto la proprietà a cambiare rotta. La sensazione è che José Mourinho non sia più lo stesso e che, anno dopo anno, la sua straordinaria carriera diventi sempre meno speciale. In questo caso non c’entrano niente le simpatie personali o l’irritazione nei confronti delle polemiche spesso pretestuose che lo coinvolgono: a parlare sono i numeri, che dipingono un quadro non particolarmente rassicurante. Vediamo quindi come si è evoluta la carriera del Vate di Setubal, partendo dall’Olimpico per arrivare ai suoi inizi folgoranti in Portogallo.

Roma (2021-2024)

Il ricordo della presentazione in pompa magna in quella calda estate romana di tre anni fa è ancora vivo, come l’immensa quantità di aspettative che il popolo romanista riponeva nel tecnico lusitano. Se è vero che, come spesso gli succede, Mourinho ha consentito alla squadra della capitale di riaprire la bacheca dei trofei dopo 14 anni, esaminare i freddi numeri del suo soggiorno nella Città Eterna fornisce un’immagine a tinte forti. Nei 929 giorni passati alla Roma sono arrivate due finali europee e la Conference League del 2022 ma il raccolto di punti in campionato è decisamente deficitario.

Le 68 vittorie in 138 partite si traducono in una media punti a partita di 1,70 – la più bassa per un allenatore della Roma con almeno cinquanta panchine dal 2013. Più che i 31 pareggi, ad affossare le statistiche dello Specialone sono le 39 sconfitte, molte delle quali rimediate in maniera pesante contro rivali dirette per l’Europa che conta. Se il ricordo della gara inqualificabile contro il Milan di domenica sera è ben vivo, gli annali del calcio forniscono un altro numero che spiega il perché i Friedkin abbiano staccato la spina: la Roma non raccoglieva solo 27 punti dopo 20 partite di campionato dalla disastrosa stagione 2002-2003.

Tottenham (2019-2021)

Il percorso non esaltante fatto coi giallorossi sarebbe anche accettabile nella traiettoria di un tecnico di successo se non fosse arrivato dopo una delle delusioni più cocenti della sua lunga carriera. L’anno e mezzo passato nel nord di Londra al Tottenham è stato un lungo calvario che ha visto lo Special One fallire un obiettivo dopo l’altro a White Hart Lane. Nominato solo 12 ore dopo la defenestrazione di Mauricio Pochettino, la fine del regno di Mourinho è arrivata in circostanze ancora non molto chiare, due giorni prima della finale di Coppa di Lega inglese contro il Manchester City dell’eterno rivale Pep Guardiola.

I numeri dei 516 giorni passati dal tecnico lusitano alla guida dei Lilywhites sono decisamente negativi, come il fatto che gli Spurs siano l’unico club da quando guidava l’Uniao de Leiria nel 2002 nel quale Mou non sia riuscito ad alzare almeno un trofeo al cielo. Quando arrivò il licenziamento il Tottenham era settimo in Premier, a cinque punti dalla zona Champions, ma nelle 86 partite disputate non si era certo ricoperto di gloria. Nonostante in avanti avesse Harry Kane e Son Heung-Min, la media punti è un mediocre 1,77 a partita con 44 vittorie, 19 pareggi e ben 23 sconfitte. Non abbastanza per una squadra ambiziosa che vuole entrare nel calcio che conta.

Manchester United (2016-2018)

I due anni e mezzo passati all’Old Trafford sono stati tutto sommato positivi per Mourinho, che rimane il tecnico dei Red Devils più di successo dopo Sir Alex Ferguson. I trofei sono arrivati, dal Community Shield all’accoppiata Coppa di Lega-Europa League dell’anno del debutto: non abbastanza per far dimenticare il fatto che non abbia mai vinto la Premier League. Quando i rossi di Manchester persero male contro il Liverpool, confermando la peggiore partenza dal 1992 ad oggi, la società preferì cambiare rotta. Eppure Mourinho considera il secondo posto dietro al City il suo più grande successo in carriera.

Evidentemente dimentica il fatto che, quando fu licenziato, lo United era sesto, 11 punti dietro il Chelsea quarto e con lo spogliatoio in rivolta guidato da due suoi ex pupilli come Pogba e Martial. Il riassunto in numeri dei 900 giorni passati nel Teatro dei Sogni non è nemmeno troppo negativo, visto che la media punti per partita è di 1,97: nelle 144 partite sono arrivate 84 vittorie, 32 pareggi e solo 28 sconfitte. Roba del genere avrebbe fatto andare in brodo di giuggiole i fedelissimi della Roma ma, a quanto pare, per rimanere allo United serve di più e di meglio.

Chelsea (2013-2015)

Nonostante avesse giurato e spergiurato che non sarebbe mai tornato allo Stamford Bridge dopo la rottura con la proprietà, il secondo passaggio dello Specialone a West London aveva il sapore della rivincita. Se gli inizi non erano stati dei più semplici, i Blues avevano chiuso la stagione al terzo posto per poi cogliere la doppietta Premier-Coppa di Lega nella seconda stagione. Visto che nel calcio conta solo il risultato dell’ultima partita, un inizio da incubo nel 2015/16 fu troppo anche per il paziente Abramovich.

Dopo 11 punti in 12 partite e il club ad un punto dalla zona retrocessione, Mourinho fu costretto a togliere le tende. Anche stavolta si parla di 899 giorni al timone e di un risultato nemmeno troppo male, dato che delle 136 partite passate in panchina, il tecnico lusitano ne aveva vinte ben 80. In questo caso la media di punti a partita è di 1,96 con 29 pareggi e 27 sconfitte ma, quando le cose non girano e perdi il controllo dello spogliatoio, le statistiche lasciano il tempo che trovano. La maledizione dei tre anni era appena nata.

Real Madrid (2010-2013)

Mourinho era arrivato alla Casa Blanca dopo il trionfo del triplete con l’Inter di Moratti, considerato universalmente il miglior tecnico al mondo. Se Florentino Perez l’aveva strappato al popolo nerazzurro per conquistare la mitica Decima, la Champions League che stava diventando un’ossessione per le Merengues, il portoghese ci mise parecchio prima di trovare la quadra del devastante Barcellona di Guardiola, riuscendo a batterlo prima nella Copa del Rey e poi in campionato nel 2012, segnando ben 121 reti.

In questo caso a costare il posto al tecnico portoghese furono le tre uscite consecutive in semifinale di Champions, con la memoria dell’ultimo trionfo del 2002 che diventava sempre più lontana. Ancora una volta, a tradirlo fu uno dei suoi pretoriani, il capitano Iker Casillas, che avrebbe visto di buon occhio il suo allontanamento. I numeri dei 1126 giorni passati al Santiago Bernabeu sono però eccellenti: delle 178 partite giocate, il Real ne riuscì a vincere ben 128, con 2,3 punti a partita, una media mostruosa. Si può essere esonerati anche quando vinci il 71,9% delle partite giocate? A quanto pare sì, se parecchie delle 22 sconfitte rimediate sono contro i poco amati Azulgrana.

Inter (2008-2010)

Della cavalcata trionfale della Beneamata di Mourinho si è scritto forse fin troppo, tanto da ammantare questa era di caratteristiche quasi leggendarie. Quello che non molti ricordano, però, è come il portoghese fosse arrivato alla Pinetina reduce dal divorzio doloroso con il Chelsea e una gran voglia di rivalsa. Una volta tanto non ci mise molto per imporre la sua legge, riuscendo subito nell’accoppiata scudetto-supercoppa già dalla prima stagione. Quella che i tifosi interisti ricorderanno sempre è però l’annata successiva, quando per la prima volta nella storia una squadra italiana riuscì a vincere scudetto, Coppa Italia e Champions League. Alzare al cielo dopo 38 anni la coppa dalle grandi orecchie fu lo zenit dell’Inter di Moratti.

Tradurre in numeri questa epoca che avrà sempre un posto nel cuore dei tifosi nerazzurri è forse impossibile ma, considerato che la Serie A è decisamente più competitiva di altri campionati, il raccolto dello Special One non fu affatto male. Nei 727 giorni passati a San Siro arrivarono infatti 67 vittorie su 108 partite giocate, 26 pareggi e solo 15 sconfitte. Se la media di vittorie, 62%, non è a livelli stratosferici, chiudere con 2,12 punti a partita di media è un’impresa mica da ridere. Certo, rimane sempre la “fuga” dopo il trionfo in Champions ed i mille rimpianti per quello che avrebbe potuto fare ancora. Peccato che coi “se” e coi “ma” non si faccia la storia.

Chelsea (2004-2007)

In Inghilterra tutti ricordano perfettamente la prima conferenza stampa dell’ex tecnico del Porto campione d’Europa allo Stamford Bridge: quando fu proprio lui a definirsi “uno speciale”, la stampa britannica si pose la missione di fargli abbassare la cresta. Eppure, alla fine, a ridere fu proprio lui: dopo una cavalcata trionfale, conclusa con il record di punti all’epoca, ben 95, il Chelsea fu in grado di vincere la Premier per la prima volta. Lo scudetto mancava da ben 50 anni ma i Blues riuscirono pure a ripetersi l’anno dopo, facendo pure incetta di coppe e coppette.

Quando sembrava che la macchina dello Special One fosse inarrestabile, arrivò la lite ancora inspiegata con il proprietario Roman Abramovich e l’addio a sorpresa nel settembre 2007. Mou sarebbe tornato nove anni ed un giorno dopo ma la magia si era persa. I 1176 giorni passati allo Stamford Bridge sono quelli che hanno fatto il mito di Mourinho e, francamente, si fa fatica a crederci. 185 partite giocate, 124 vittorie, 40 pareggi e solo 21 sconfitte: una media punti a partita di ben 2,23 è roba da libro dei record, specialmente in Premier.

Porto (2002-2004)

Qui si risale proprio alla storia antica, ad un calcio decisamente diverso ma vale la pena di tornare all’inizio degli anni 2000, quando il giovane tecnico di Setubal lasciò basito il mondo del calcio trascinando una grande parecchio appannata come il Porto sul tetto d’Europa. Mourinho non era proprio al debutto, visto che aveva allenato per poche partite sia il Benfica che l’Uniao de Leiria, senza cogliere risultati particolarmente impressionanti. Le cose andarono in maniera ben diversa quando ebbe a disposizione la rosa giusta ed il tempo di plasmarla in una squadra devastante. In questo caso i titoli parlano da soli: due scudetti consecutivi, una Coppa di Portogallo, la Coppa Uefa e la Champions League una dietro l’altra.

Il regno di un Mourinho che non si definiva ancora “speciale” fu decisamente impressionante, almeno a giudicare dai numeri. Gli 889 giorni passati all’Estadio do Dragao sono stati una cavalcata trionfale all’insegna di una percentuale di vittorie maiuscola, ben 71,7%. Nelle 127 partite giocate dai Dragoni, infatti, sono arrivate 91 vittorie, 21 pareggi e solo 15 sconfitte. Quando chiudi un periodo di due anni e mezzo con 2,17 punti a partita è ovvio che le grandi d’Europa siano interessate. Era un calcio diverso ma anche un Mourinho diverso, che aveva idee e concetti nuovi. Il mondo del pallone è cresciuto molto e, forse, il Vate di Setubal ha finito la polvere di fata. Sic transit gloria mundi.

Avanti il prossimo.

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