Che il calcio sia una religione è noto a tutti, e d’altronde dove esiste un’altra fede così simile all’Assoluto? Come si dice spesso, ci sono due cose certe nella vita: la mamma e la propria squadra del cuore. Sulla quale non è ammissibile cambiare idea, pena la scomunica. Per questo ci sono giocatori che pregano non appena mettono piede in campo, altri che lo fanno per ringraziare dopo un gol, altri ancora che pensano che basti recitare un mea culpa per farsi assolvere da tutti i loro peccati. Poi magari i tifosi li mandano a benedire lo stesso, ma pazienza.
La stessa cosa vale per gli allenatori (Trapattoni e l’acqua santa, ricordate?), e – dall’altra parte - per quei religiosi che hanno fatto del calcio un mezzo per far conoscere le proprie opere. Si è passati dal Padre Eligio di Gianni Rivera alla Suor Paola laziale e televisiva, eppoi non c’è squadra che abbia il proprio rito propiziatorio, oppure la propria celebrazione della memoria, come fa il Torino per ricordare i suoi caduti a Superga.
Insomma, probabilmente che esista un Dio del pallone è un concetto un tantino esagerato, però comunque quando le cose vanno vale a volte si cerca un santo a cui votarsi. Lo ha fatto, per esempio, il presidente della Lazio Claudio Lotito, che – dopo una serie continua di infortuni dei suoi giocatori – ha chiamato un prete al centro sportivo per cercare di scacciare la sfortuna con una preghiera.
Qualche ora dopo, però, si è fatto male anche Rovella, per cui forse alla fine non c’è nulla di divino in un pallone che rotola. O quantomeno è proprio vero che dove c’è l’acqua santa, dietro l’angolo spunta sempre il diavolo. Che a volte gioca da dio.